venerdì 26 ottobre 2018
Nei prossimi tre anni previsti oltre 800mila nuovi posti di lavoro, mentre occorre riqualificare almeno altrettanti lavoratori a rischio di obsolescenza professionale
Il mercato digitale cresce quasi il doppio del Pil
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I segnali positivi sulla digitalizzazione del Paese, pur consistenti, sono tutt’altro che acquisiti. Nel 2017, il mercato digitale italiano è cresciuto del 2,3% raggiungendo 68.722 milioni di euro, ma per il 2018 le previsioni formulate solo lo scorso giugno sono state aggiustate al ribasso, dal +2,6% al +2,3% a 70.286 milioni sull’onda di un quadro economico in rallentamento, mentre le crescite stimate per il 2019 (+2,8%) e per il 2020 (+3,1%) appaiono sempre più legate alla continuità dei provvedimenti di incentivazione come Impresa 4.0, al rilancio della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e all’inclusione digitale delle piccole imprese. Sono queste le principali evidenze dello studio Il digitale in Italia realizzato da Anitec-Assinform - l’associazione delle imprese Ict di Confindustria - in collaborazione con NetConsulting cube.

Per Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform «l’aggiustamento delle previsioni per il 2018 è un segnale: il trend rimane positivo, ma gli effetti del rallentamento dell’economia e dell’instabilità finanziaria si sono fatti sentire sugli investimenti. Lo stesso quadro macroeconomico nazionale risente più che in altri paesi dell’effetto di squilibri e inefficienze che proprio il digitale può risolvere. Investire nella trasformazione digitale è un’esigenza per il Paese, non un mantra del nostro settore; è la risposta più sostenibile per una crescita duratura, affrontando in modo strutturale la sfida della competitività attraverso l’innovazione di processi, prodotti e servizi». «Sino a pochi anni fa il Paese ha rischiato di subire la trasformazione digitale per carenza di investimenti. Oggi non è più così. Ma se non acceleriamo sprecheremo un’occasione irripetibile - ha aggiunto Gay -. Oggi non c’è da mettere in moto una macchina ferma, ma di dare più velocità a una macchina già in movimento. Non solo è ripresa la domanda di digitale, ma ne è migliorata la qualità, grazie al peso crescente delle componenti più evolute. Iot, Cybersecurity, Cloud, Big Data, Servizi Web e Mobile Business, sono cresciuti nel loro complesso del 16,7% nel 2017 e promettono, a condizioni costanti di crescere del 16,5% medio annuo sino al 2020, trainando l’intero mercato, a partire dal software e dai servizi generati in Italia, a tutto vantaggio dell’innovazione di prodotti, servizi e processi»

A parità di condizioni di investimento rispetto alle attuali, tutti i settori, tranne la Pa centrale e locale, continuerebbero a investire nel digitale, con punte del 6,5% nelle Utility e attorno al 6% nelle filiere che integrano Industria, Distribuzione e Servizi, mentre Banche, Assicurazioni/Finanza e Trasporti, progredirebbero del 5%, la Sanità del 3,1% e i settori delle Telecomunicazioni e dei media del 2,2%. Per l’industria, in particolare, gli investimenti in tecnologie 4.0 dopo aver sfiorato 2,2 miliardi nel 2017 crescerebbero a 3,7 miliardi nel 2020 a un tasso medio annuo 2017-2020 del 19,2%, più alto (19,6%) per i sistemi industriali e leggermente più basso (18,9%) per i sistemi Ict, con un picco di crescita nel 2018 del 22,3% per i primi e del 21% per i secondi. «Sono previsioni che scontano però la continuità sostanziale dei programmi nazionali per l’innovazione e che, proprio perché hanno dato risultati concreti, non dovrebbero subire ridimensionamenti come invece constatiamo dalle prime notizie sulla manovra di bilanci - sottolinea Gay -. Siamo preoccupati e delusi. Sorge il dubbio che l’innovazione non sia in cima alle priorità del governo: dimezzati gli incentivi di Impresa 4.0 e quelli in ricerca e sviluppo, cancellato il superammortamento, scomparsa istruzione e formazione digitale dalle priorità pubbliche. Con Confindustria digitale avevamo proposto misure per la crescita digitale come l’iperdeducibilità della spesa per software, sistemi e servizi It in cloud; l’innalzamento della defiscalizzazione del capitale di rischio in startup, pmi innovative e open innovation; la semplificazione in chiave digitale della Pa. Non sembra esservi traccia di queste misure. Abbiamo davanti sfide industriali e sociali epocali, basate su tecnologia e globalizzazione, e non possiamo affrontarle e vincerle se non con un piano di politica industriale per l’innovazione italiano ed europeo. La manovra deve essere non solo credibile per Bruxelles o i mercati ma sostenibile per chi lavora e produce in Italia e per le generazioni che lo faranno dopo di noi. Il digitale è la nostra occasione per crescere, come aziende, come cittadini, come Paese. Non possiamo sprecarla e auspichiamo che la politica non si tiri indietro sulla promessa di fare dell’Italia una smart nation».


Alle parole di Gay si aggiungono quelle del presidente di Confindustria Digitale Elio Catania che afferma: «Siamo molto preoccupati. Nella legge di bilancio manca una visione organica di un Paese che cambia e cresce utilizzando l’innovazione e i processi di trasformazione digitale. Mancano le misure che consentono alle imprese di trarre valore competitività dalle nuove tecnologie: fondamentali gli incentivi a supporto della riqualificazione del personale e per la formazione di nuove competenze digitali e gli incentivi per i progetti di integrazione dei nuovi sistemi e tecnologie di sensoristica, software, di servizi cloud, con i processi aziendali. Di questi passaggi, necessari per rendere l’impresa 4.0 un fattore strutturale, sistemico e più impattante sui trend economici, il Paese non ne può fare a meno. Stiamo parlando della più importante opportunità che abbiamo di fronte per creare nei prossimi tre anni oltre 800mila nuovi posti di lavoro legati alle competenze digitali, mentre occorre riqualificare almeno altrettanti lavoratori a rischio di obsolescenza professionale, con un impatto sulla crescita del Pil di almeno mezzo punto l’anno. Non credo che ci siano altre vie per far crescere l’economia con i ritmi necessari per alleggerire il deficit di bilancio».

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