Il Po in secca (foto archivio Ansa)
Non c’è traccia di svolta. Semmai si è registrato qualche segnale di miglioramento in sette aree. Peccato, tuttavia, che tali progressi siano controbilanciati dai passi indietro compiuti in altri sei campi. Per cui è evidente che l’Italia non è ancora ben incamminata lungo un sentiero di sviluppo sostenibile. Anzi, sembra più vicina ai nastri di partenza che al traguardo, anche in virtù del fatto che non si tratta di una corsa avulsa dal tempo, ma al contrario c’è una scadenza precisa, che le Nazioni Unite hanno fissato fra meno di 12 anni. A misurare lo (scarso) livello di 'sostenibilità' del Paese sui 17 obiettivi Onu e a richiedere impegno e azioni concrete alle forze politiche in campo nell’appuntamento elettorale di domenica è l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Quando ormai la chiamata alle urne è imminente, la più grande rete nazionale di organizzazioni della società civile (con 185 aderenti) presenta una valutazione dell’Italia rispetto agli impegni assunti con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 e dunque il raggiungi- mento dei sustainable development goals. L’analisi dell’ASviS arriva dopo che il portavoce Enrico Giovannini nelle scorse settimane ha incontrato i principali leader politici.
L’Alleanza ha preso atto con rammarico di come, nei programmi elettorali e nel corso della campagna, le questioni dello sviluppo sostenibile – dai nodi ambientali alla lotta alle povertà – siano state ignorate o al massimo relegate ai margini. A volte addirittura strumentalizzate. A giudicare dall’andamento del Paese su alcuni indicatori cruciali, i partiti sembrerebbero aver perso ancora una volta un’occasione per fornire soluzioni alle grandi sfide globali del futuropresente. Volontà che avrebbero mostrato rispondendo alle dieci precise richieste dell’Alleanza (in alto, nelle due pagine, ndr) per portare l’Italia su un sentiero di sostenibilità. C’è ancora qualche giorno, prima del silenzio che scatterà alla mezzanotte di venerdì, per rimediare ai silenzi e alle lacune palesate finora. Secondo l’indagine dell’ASviS (la base di partenza per formulare le richieste e 'leggere' le proposte elettorali) tra il 2010 e il 2016 l’Italia mostra segni di miglioramento in sette aree: salute, istruzione, uguaglianza di genere, innovazione, modelli sostenibili di produzione e di consumo, lotta al cambiamento climatico, cooperazione internazionale. Per sei aree, al contrario, la situazione peggiora sensibilmente. Si è tornati indietro anziché progredire per povertà, condizione economica e occupazionale, disuguaglianze, acqua e strutture igienico-sanitarie, condizioni delle città, ecosistema terrestre. Per i restanti quattro temi, invece, la condizione appare sostanzialmente invariata (alimentazione e agricoltura sostenibile, sistema energetico, condizione dei mari e qualità della governance).
Il quadro, insomma, non è dei migliori. «Malgrado i passi avanti compiuti in alcuni campi, l’Italia resta in una condizione di non sostenibilità economica, sociale e ambientale – commenta Giovannini –. Se i partiti non metteranno lo sviluppo sostenibile al centro della legislatura, le condizioni dell’Italia saranno destinate a peggiorare anche in confronto ad altri Paesi». Non a caso proprio l’Alleanza aveva stipulato già da gennaio l’elenco di dieci impegni scritti e specifici destinati ai principali partiti e movimenti, in vista della tornata elettorale, ricordando che in un’epoca di macro-cambiamenti non si può prescindere dall’assumere posizioni chiare. Il primo punto è l’inserimento nella Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile, come già fatto da diversi Paesi europei, seguito dall’attuazione di una efficace strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile orientata al pieno raggiungimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030, da realizzare con un forte coordinamento di Palazzo Chigi. Si va avanti, poi, con altri impegni: dal rispetto degli accordi di Parigi all’istituzione di un organismo permanente per la concertazione con la società civile delle politiche a favore della parità di genere nell’ambito della presidenza del Consiglio. Si tratta di richieste precise e a cui, dunque, diventa difficile sottrarsi. E stando ai programmi, i partiti per ora si sono sottratti. Ovviamente bisogna mettere in cima all’agenda delle priorità gli interventi in quegli ambiti dove la situazione si è aggravata. In particolare, dagli ultimi dati elaborati dall’ASviS, emerge un evidente peggioramento del nostro Paese, dal 2010 al 2016, rispetto al primo obiettivo fissato dall’Agenda 2030, ovvero la povertà. In questo arco temporale è cresciuta sia quella assoluta sia quella relativa.
Non va meglio neppure per l’indicatore che misura la disponibilità dell’acqua e delle strutture sanitarie, al contrario del fronte occupazionale, dove qualche passo avanti c’è stato ma i livelli pre-crisi sono ancora lontani dall’essere raggiunti. A proposito delle aree che dovrebbero avere la precedenza sulle altre, recentemente Giovannini ne ha indicate cinque. «Non perché siano più importanti delle altre, ma per gli effetti positivi che possono generare a cascata sulle altre – ha precisato –. Si tratta di energia; innovazione; educazione intesa come investimento in capitale umano; lotta alle povertà e politiche attive per il lavoro; aumento della qualità della vita nelle nostre città». Tutti campi in cui la politica italiana è chiamata a fornire azioni e risposte efficaci nella legislatura che sta per aprirsi.