Programmatori, web designer, sviluppatori, ma anche distributori e commerciali. Sono tante le opportunità per chi vuole lavorare nel settore dei videogiochi. In Italia si contano 120 studi di sviluppo, quasi tutti concentrati nel Nord Italia (61%), seguito dal Centro Italia (22%) e dal Sud Italia e dalle isole (16%). A livello provinciale la provincia di Milano è in testa, con più del 22% di studi di sviluppo, seguita dalla provincia di Roma (12%). Le due provincie, complessivamente considerate, rappresentano il 35% circa del campione. Vanno inoltre segnalati i casi di Torino (5%), Bologna (5%), Verona (4%) e Genova (4%). La Lombardia, da sola, riunisce circa il 25% delle imprese italiane.
«Sono 1.000 i professionisti impiegati nella produzione - spiega Thalita Malagò, segretario generale di Aesvi (Associazione editori e sviluppatori videogiochi ) -. Erano 700 nel 2014: una crescita di quasi il 50% in due anni. La produzione di videogiochi in Italia sviluppa un giro d'affari complessivo ancora abbastanza contenuto. La nostra stima è di circa 40 milioni di euro contro i 20 del precedente censimento, ma in generale è possibile rilevare un grande fermento nel settore, con un numero crescente di studi operanti sul territorio, sempre più giovani sia per età degli imprenditori, 33 anni, sia per età delle imprese: il 62% ha meno di tre anni, contro il 45% della rilevazione precedente».
Il fatturato generato dagli studi di sviluppo di videogiochi rientra nel 30% dei casi nella fascia tra i 10mila e i 100mila euro. Nel 44% dei casi il fatturato non supera invece i 10mila euro, confermando la dimensione di attività individuale di buona parte del campione analizzato. Solo un quarto circa dei casi considerati si colloca nelle classi di fatturato superiore (da 100mila fino a cinque milioni di euro), con una maggiore concentrazione nella fascia tra i 100mila e i 250mila euro (15%). Rispetto alla precedente rilevazione, la percentuale di imprese con un fatturato elevato (oltre il milione di euro) è rimasta sostanzialmente invariata (5%).
La maggioranza degli studi di sviluppo di videogiochi che operano in Italia sono costituiti sotto forma di società di capitali (55%). Il settore è composto tuttavia anche da una percentuale significativa di liberi professionisti (40%). Oltre il 20% degli studi sono iscritti nel registro delle start up innovative, una percentuale non esigua soprattutto se rapportata alla numerosità delle società di capitali presenti nel campione e ai requisiti richiesti per l'iscrizione.
Il livello di istruzione più diffuso tra i rispondenti si conferma la licenza media superiore (40%), ma appare consistente anche la quota di operatori con una formazione altamente specializzata, con oltre un terzo dei rispondenti che ha conseguito un master, un dottorato o è in possesso di un diploma di laurea magistrale (34%). Nella maggior parte dei casi le competenze sono quindi acquisite attraverso la pratica professionale. Negli ultimi anni sono stati attivati diversi corsi pubblici e privati per formare le figure da inserire nelle imprese che producono videogiochi. L'Università Statale di Milano è stata la prima: ha istituito un corso di laurea magistrale in Informatica con indirizzo videogame nel 2015.
«Rispetto al 2014 - continua Malagò - si osserva una maggiore organizzazione all'interno degli studi di sviluppo, con una distribuzione dei ruoli tra più persone e una ripartizione delle figure professionali in tre aree principali di competenza: management, competenze tecniche e competenze artistiche. Solo uno studio su cinque può essere definito una “one-man company”, dove un singolo ricopre tutte le funzioni produttive».
Gli studi di sviluppo italiani sono inoltre caratterizzati da una forte tendenza all'internazionalizzazione nella distribuzione, guardando più ai mercati internazionali che a quello interno come destinatari delle proprie attività. Infatti i videogiochi made in Italy vengono esportati nella quasi totalità in tutta Europa (93%), in larga maggioranza nel Nord America (83%), e anche in Asia (64%) e in Sud America (58%).
Gli studi di sviluppo di videogiochi in Italia operano in larga maggioranza sulla base di autofinanziamenti (56%). Rispetto alle rilevazioni precedenti si rileva una tendenza, anche se per il momento non del tutto robusta, alla variazione delle fonti di finanziamento, con un'integrazione dell'autofinanziamento attraverso il supporto finanziario da parte di publisher (17% circa) o con meno frequenza di private equity (8% circa). Sostanzialmente assente il finanziamento da parte di istituzioni pubbliche e di istituti di credito (3%), mentre si segnala il crescente ricorso al crowdfunding (oltre il 7%).
«Per far diventare il comparto più competitivo nel mercato globale e renderlo maggiormente attrattivo - conclude Malagò - è auspicabile che siano adottati una serie di interventi a medio e a lungo termine, sulla scia di quanto già sperimentato da diversi Paesi europei, dove il settore riceve un considerevole sostegno pubblico. Come per esempio investimenti pubblici e privati, per sopperire alla scarsità di fonti finanziarie, tanto esterne quanto interne, degli studi di sviluppo italiani. Formazione delle imprese, già costituite e ancora da costituire, in ambito business e marketing. Rafforzamento delle iniziative per favorire l'accesso degli operatori del settore al mercato internazionale. Sviluppo della committenza pubblica e privata di videogiochi non strettamente legati a finalità di mero intrattenimento (come la formazione, l'educazione, il marketing, la promozione e altro). Inclusione dei videogiochi nelle politiche culturali e diffusione di una più ampia conoscenza del mezzo a tutti i livelli».