martedì 1 dicembre 2015
Decima edizione del Forum Csr 2015, in programma oggi e domani a Roma. L'84% degli istituti di credito inserisce nel piano industriale temi ambientali e sociali. Intanto crescono le attività avviate da immigrati.
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Le banche italiane elaborano le proprie strategie tenendo conto dei principi di responsabilità sociale e l’84% inserisce nel piano industriale i temi ambientali, sociali e di governance, su cui organizza anche forme di consultazione coi propri referenti portatori di interesse (86%). Il 76% del settore ha un presidio interno che si occupa esclusivamente di responsabilità sociale d’impresa (Csr) e il 51% ha recentemente aggiornato il proprio codice etico, oggetto di specifici corsi di formazione per i dipendenti, organizzati dall’86% delle banche. Continua a crescere l’impegno del mondo bancario italiano per uno sviluppo sostenibile e socialmente responsabile, come emerge dall’indagine Abi Esg Benchmark 2015, condotta su campione rappresentativo del 75% del settore in termini di totale attivo, che è stata presentata alla decima edizione Forum CSR 2015, in programma oggi e domani a Roma. “Un’economia che vuole crescere senza sacrificare il futuro delle giovani generazioni né compromettere il proprio territorio – ha detto il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini – deve riuscire a coniugare sviluppo e sostenibilità, responsabilità e attività d’impresa. Sempre più spesso, infatti, la dimensione sociale e quella ambientale rappresentano, al pari del PIL, indicatori fondamentali per misurare la crescita reale di un Paese. In questa direzione, le banche italiane sono fortemente impegnate nel tentativo di integrare sempre di più l’attenzione per gli aspetti ambientali, sociali e di governance nelle strategie, nei prodotti e nei servizi offerti, nella gestione dei processi, così come nella successiva rendicontazione e comunicazione”.   Secondo l’indagine Abi, negli ultimi anni si è consolidato un modello formalizzato d'interazione tra l’unità CSR e le altre aree della banca per la condivisione di informazioni, utili soprattutto alla redazione del bilancio di sostenibilità (72% del campione). Proprio il bilancio di sostenibilità, infatti, si conferma lo strumento di Csr più diffuso dopo il codice etico ed è già redatto dall’80% delle banche. Quanto al codice etico, tutte le banche si sono ormai dotate di un proprio codice dove vengono indicati: diritti, doveri e responsabilità della banca verso gli stakeholder (100%); organi preposti al controllo e a cui rivolgersi in caso di violazioni (100%); norme di comportamento (92%); meccanismi di attuazione e controllo delle procedure identificate (88%).La decima edizione del Forum Csr è dedicata in particolare al ruolo delle banche a supporto del tessuto imprenditoriale e delle persone. Per sostenere le attività produttive, i progetti individuali e familiari ed affrontare le sfide della crescita economica, ma anche quelle dello sviluppo sociale e ambientale. Questi temi sono al centro anche di un progetto di ricerca, promosso dall’Abi con la partecipazione di dieci banche che rappresentano il 70% del settore in termini di totale attivo. Tra gli obiettivi del progetto, analizzare e mettere in evidenza l’opportunità di integrare le considerazioni ambientali e sociali nell’attività bancaria, migliorando la gestione del rischio per essere più competitivi sul mercato.Intanto crescono le piccole attività imprenditoriali avviate da immigrati. Sono circa 110mila, infatti, i conti correnti small business intestati a cittadini stranieri che hanno avviato un’attività nel 2014, in crescita di circa il 10% rispetto all’anno precedente. Lo rileva il rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti, gestito dal Cespi, il Centro Studi di Politica Internazionale, in collaborazione con Abi e finanziato dal ministero dell’Interno e dalla Commissione europea, secondo il quale il trend di crescita si è mantenuto costante tra il 2010 e il 2014. Secondo l’indagine messa a punto dall’Osservatorio, le aziende gestite dagli imprenditori immigrati sono soprattutto micro-imprese che si occupano di attività professionali o artigianali. Sono intestate a persone fisiche: nel 31% dei casi si tratta di donne (era il 26% nel 2011), percentuale questa che raggiunge il 70% nella comunità ucraina; il 60% in quella filippina e polacca; il 46% in quella cinese. Le imprese immigrate, dunque, si tengono sempre più di rosa, soprattutto al sud dove il segmento femminile pesa per il 44%.Sempre secondo il rapporto, le aziende dei nuovi italiani dispongono mediamente di meno di dieci addetti, con un fatturato annuo inferiore ai due milioni di euro. Si tratta dunque di aziende piccole, ma sempre più proiettate verso l’estero: dall’analisi sperimentale condotta dall’Osservatorio con ISTAT e ICE, infatti, emerge come le imprese a titolarità immigrata che hanno rapporti commerciali col proprio paese d’origine rappresentino rispettivamente il 29% delle imprese italiane esportatrici e il 39% delle importatrici. 'Ambasciatrici' o fornitrici delle filiere produttive tipiche del made in Italy, le imprese a titolarità immigrata mostrano quindi un dinamismo e una spiccata vocazione all’internazionalizzazione, che rappresenta un’opportunità per il mondo finanziario oltre che un contributo significativo all’intero Sistema-Paese.Secondo i dati dell’Osservatorio, il settore bancario è il principale interlocutore delle micro-imprese immigrate a cui offre sostegno e assistenza nelle diverse fasi di avvio, sviluppo e crescita dell’attività imprenditoriale. Nel 2014, tra le imprese clienti di banche italiane e BancoPosta sono cresciute soprattutto quelle cinesi, seguite dalle rumene, le albanesi, le marocchine e quelle del Bangladesh. Se guardiamo alla singola comunità di migranti, a crescere in modo significativo sono soprattutto le micro-imprese di cittadini del Bangladesh, ma anche di Senegal, Pakistan e Ucraina. In ogni caso, l’80% dei piccoli imprenditori immigrati che hanno un conto corrente small business presso il sistema finanziario italiano proviene da Europa e Asia. Per quanto riguarda la distribuzione delle imprese di migranti sul territorio nazionale, il maggior numero di conti correnti small business si concentra nelle regioni del Centro Italia e in particolare a Roma, confermando una vivacità imprenditoriale già evidenziata in passato.Il sostegno del settore finanziario alle imprese immigrate passa certamente attraverso il credito che costituisce un fattore essenziale per la crescita e lo sviluppo dell’attività. Nel 2014, il numero di finanziamenti ai piccoli imprenditori migranti è cresciuta del 2,5% rispetto al 2013, portando l’incidenza dei finanziamenti sul totale dei conti correnti al 39% (dato che sale al 43% nel Centro Italia). Questo incremento è trainato dalla componente a breve termine, anche se quella a lungo resta prevalente e riguarda il 56% dei finanziamenti in essere. A fare maggior ricorso al credito a medio-lungo termine sono soprattutto i piccoli imprenditori che provengono da Filippine (62%), Albania (62%), Perù (61%), Moldova (61%) e Ucraina (59%).

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