Applicare subito il quoziente familiare e creare nuova occupazione con l’impresa sociale. Per l’economista Stefano Zamagni, docente e presidente dell’Agenzia delle Onlus, le riflessioni del cardinale Bagnasco offrono diversi spunti per una politica di riforme. A partire dal federalismo, che sturzianamente è nel dna dei cattolici.
La crisi ha creato un’emergenza lavoro senza precedenti, destinata ad acuirsi perché la ripresa rischia di tradursi in una crescita senza occupazione. Il cardinale indica la via di una rete di piccole e medie imprese e del sostegno alle cooperative. Che ne pensa?La Chiesa italiana ha offerto un contributo eccezionale ai disoccupati e conosce bene la realtà. L’emergenza non è dovuta solo alla crisi, che l’ha accentuata, bensì alla terza rivoluzione industriale infotecnologica. Che ci ha portati da un mercato del lavoro costruito sul modello piramidale a uno a clessidra, dove le aziende in gara sui mercati globali scelgono personale molto specializzato oppure poco formato. E al massimo assorbiranno il 70% della forza lavoro italiana, a meno che si decida di abbassare i salari. In questo quadro occorre che la politica sostenga i giovani e i lavoratori con livello medio di istruzione.
In quali forme?Ad esempio sostenendo cooperative e imprese sociali che possono lavorare nel mercato dei servizi alla persona oppure piccole imprese. Per fare questo, lo dice bene Bagnasco, occorre uno sforzo bipartisan. Per esempio, per completare la riforma del libro primo e titolo secondo del Codice civile che regolamenta l’impresa sociale. Era già avviata, poi si è arenata in Parlamento. E con l’istituzione di una borsa sociale per finanziare cooperative e imprese con capitali privati sganciandoli, in questa fase di tagli della spesa pubblica, dalle convenzioni con l’ente locale. Questi provvedimenti a sostegno di domanda e offerta, con pochi investimenti farebbero ripartire la crescita con occupazione. Le misure assistenzialistiche ai poveri sono invece poco efficaci.
Per uscire dal «suicidio demografico» il presidente della Cei chiede di introdurre il quoziente familiare. È possibile?Certo, anzi bisogna chiedere di più. Posso in parte condividere le critiche degli oppositori di questa rivoluzione fiscale. Vi sono soluzioni in teoria meno costose per l’erario per diminuire le tasse al soggetto produttore di reddito con figli a carico quali detrazioni fiscali e controlli rigidi. Ma questo in Italia non è sostenibile perché richiederebbe contribuenti molto onesti e nuove assunzioni di controllori, oggi impossibili. Allora applichiamo subito il quoziente familiare se vogliamo dare una prospettiva al Paese. Ma è condizione necessaria, non ancora sufficiente.
Che cosa manca?Studi economici dimostrano che la natalità nel Belpaese cresce se si aumenta il reddito dei genitori con il quoziente e si ripensano gli orari produttivi di madri e padri in base alle esigenze famigliari. Anche questo richiede scelte bipartisan.
Italia unita valore irrinunciabile per la riforma federale. Una nuova organizzazione dello Stato aiuterà lo sviluppo?Sono per il federalismo solidale, a patto che non diventi una scusa per frenare il federalismo. Ha ancora una volta ragione il presidente della Cei, noi cattolici siamo soci fondatori dello Stato unitario. Ma il federalismo è nel nostro dna, basta pensare a don Sturzo. Dovremmo trovare la forza di guidare la riforma federale con la solidarietà e la sussidiarietà, che abbiamo introdotto soprattutto noi nella nuova Costituzione nel 2001. È questa l’unica speranza di sviluppo per il 33% degli italiani che vive nel Mezzogiorno.