sabato 19 luglio 2014
​Così Michele, Giovanni e Salvatore hanno incontrato Cristo a Poggio Reale. Con l'aiuto dei volontari dell'Azione cattolica
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C'è chi ha ricevuto la prima Comunione, chi per la prima volta ha partecipato ad un incontro di catechesi, chi racconta di un cammino di conversione. Pedro, Giovanni, Michele, Salvatore… sono detenuti al carcere di Poggioreale di Napoli, le loro storie sono raccontate dai volontari dell’Azione cattolica diocesana che hanno bussato alle porte del penitenziario per portarvi la parola di Dio e la speranza, laddove la speranza sembra perduta o negata. Parole e storie, volti e cammini descritti ne «Il Vangelo dietro le sbarre. Un’esperienza di annuncio in carcere» di Antonio Spagnoli (edito da Ave, pagine 120, 10 euro) un libro che, in sostanza, ripercorre il cammino dei volontari che, dal 2008, ogni settimana, hanno scelto di annunciare Gesù, nel carcere di Poggioreale, nei padiglioni Avellino, Firenze e Napoli, e percorrere insieme un cammino di formazione e catechesi, fino alla celebrazione della Messa o alla Prima Comunione. Come è accaduto per Salvatore, 32 anni, sposato, un figlio, che il 19 maggio del 2013, dopo un anno di assidua presenza agli incontri del gruppo di catechesi ha chiesto di ricevere il sacramento. «Signore – ha chiesto Salvatore, nella sua preghiera al termine della Messa –perdona, chi come me, si credeva un debole nell’inchinarsi al tuo cospetto; chi, come me, ascoltava chi non ascoltava te: Signore – ha aggiunto Salvatore, da due anni a Poggioreale – rendici forti, aiutaci a non gettare la spugna, aiuta specialmente chi in questo tempo, ha perso un suo caro, fortificaci, avvicinaci sempre di più a te, riempi quel cuore così ferito, perché solo tu puoi alleviare il dolore». Le parole raccontano storie di liberazione, segni di una conversione che inizia a farsi strada nella vita di tanti. «Ho cominciato in carcere a essere veramente uomo, a essere veramente cristiano – scrive Pedro, autista di tir, arrestato in Italia, circa dieci anni fa –. Ho capito il valore della mia esistenza - prosegue nella sua riflessione, durante la Via Crucis all’interno del carcere - quando ero come schiacciato da quella sofferenza. Sono stato crocifisso anch’io, ho compreso da dove veniva la sorgente della mia salvezza». Molti hanno ammesso che, grazie al percorso di catechesi, hanno ritrovato Dio e hanno iniziato a leggere il Vangelo con assiduità e meditarlo. E c’è chi ha espresso in versi la gratitudine e la ricerca di un senso. «Ti cercavo, ma non ti trovavo dentro di me/Il buio che avevo non mi permetteva mai di vederti/… Tra la mia ignoranza e la tanta ipocrisia che possedevo /cercavo lo stesso di avvicinarmi a te/… Finalmente ho imparato la via giusta che mi hai insegnato/questi giorni sono giunti che io ho tanto desiderato/Ho trovato quella pace tanto amata»: così Gennaro, trentadue anni, sposato con figli: è alla prima condanna, rimarrà in carcere almeno tre anni, sin dall’inizio partecipa al gruppo di catechesi con assiduità, come riferiscono i volontari. Ma perché oggi si va in carcere? Lo spiega l’autore del libro Antonio Spagnoli, referente diocesano del progetto. «Ci ritornano alla mente – dice Spagnoli – le parole pronunciate da Cristo a coloro che chiedevano come dovevano comportarsi con la giovane donna adultera: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". Per entrare in carcere – prosegue Spagnoli – è indispensabile mettere il proprio cuore accanto a quello di un fratello che soffre, sia pure per responsabilità proprie, senza attendersi o chiedere nulla, assumendo uno stile di assoluta gratuità».
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