«Picciol tempio in Vallepietra / Sorge ai piè di rupe immensa / Quivi grazie a noi dispensa / Del buon Dio la carità». È la strofa di un inno popolare cantato dai pellegrini lungo la mulattiera che sale al santuario della Santissima Trinità al monte Autore.Siamo tra i verdissimi monti Simbruini, a cavallo tra Ciociaria e piana del Fucino. Qui su una cengia della Tagliata, un’impressionante parete di roccia alta trecento metri, una grotta lunga quindici metri, divisa all’interno da due ambienti sovrapposti e protetta all’esterno da una facciata ottocentesca, custodisce un affresco della Trinità. La “Santissima”, l’immagine dalle linee bizantine, rappresentata attraverso l’antica iconografia della reiterazione di tre identiche figure, è oggetto di una devozione che pare ancestrale. Del resto la stessa origine del santuario si perde nel tempo. La tradizione popolare vuole che un contadino avesse trovato l’immagine perché i suoi buoi, caduti con l’aratro dal precipizio a monte e miracolosamente salvi, si erano inginocchiati davanti alla grotta. Il luogo era in realtà già frequentata nel neolitico, forse già con funzione di culto, e dovette poi essere rioccupato come eremitaggio da monaci basiliani o benedettini (Subiaco è poco distante). Dal 1 maggio al 1 novembre, periodo di apertura del santuario, si stima vi arrivino 400mila persone. Sono ancora in tanti a effettuare il tradizionale pellegrinaggio a piedi: anche cinque giorni di cammino, dalle piste che risalgono la Vallepietra sul versante laziale come lungo i sentieri che scavallano dall’Abruzzo. I viandanti arrivano in “compagnie”, ognuna guidata da uno stendardo decorato, ognuna con i suoi canti e le sue tradizioni. La salita è a tratti impervia. Le ultime scale si percorrono in ginocchio e giunti all’ingresso se ne toccano gli stipiti o l’architrave gridando tre volte “evviva” alla Trinità. I pellegrini a piedi, in particolare, si contano in decine di migliaia all’alba della domenica dopo Pentecoste, quando al santuario si esegue il “Pianto delle zitelle”, lauda formalizzata nel primo Settecento ma certamente molto più antica e ora trasformatasi in una vera e propria sacra rappresentazione, in cui una ventina di persone (un tempo solo giovani donne, ora anche uomini per i personaggi maschili) mettono in scena la Passione su parole e musiche tramandate di generazione in generazione.La modernità ha intaccato ma non cancellato una ritualità antichissima, solo cinquant’anni fa ancora intatta e documentata nell’adiacente museo, inaugurato nel 2003, ricchissimo di ex voto, e in quello realizzato nel centro abitato di Vallepietra. Oggi le auto possono parcheggiare a 900 metri dal sito, il santuario è dotato dagli anni ’60 di un piazzale attrezzato per le funzioni liturgiche all’aperto e, recentemente, di una nuova chiesa sotterranea. Resistono però ancora le notti all’addiaccio passate in preghiera e in canto, le candele tra le fenditure della roccia, una spiritualità semplice e arcaica, capace di comprendere e amare con spontaneità il dogma più complesso della fede cristiana.