Si farà riferimento a lui, probabilmente, come
vescovo emerito di Roma. Ed è più che possibile, anzi «evidente», che il nuovo Papa «saprà sfruttare la sua saggezza di governo e l’esperienza». Monsignor Patrick Valdrini, ordinario di Norme generali di Diritto canonico e pro Rettore della Pontificia Università Lateranense, accetta di rispondere su
Avvenire ad alcune delle (mille) domande che la rinuncia di Benedetto XVI continua a sollevare.
Perché il Papa ha usato il termine "rinuncia" e non "dimissioni?Rinuncia è un termine tecnico nel diritto canonico. Il Codice l’usa a proposito della perdita degli uffici ecclesiastici o incarichi. Esprime che la missione canonica ricevuta da una persona mediante un ufficio ecclesiastico, senza che sia prestabilito un tempo di scadenza, è rimessa nelle mani dell’autorità che l’ha affidata. Così, rinunciando liberamente, il Papa ha espresso davanti al Collegio dei cardinali che il 28 febbraio la sede sarà vacante. E ha detto: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio» perché la missione canonica non viene dall’elezione dai cardinali, ma dall’accettazione davanti a loro, della missione che Dio gli ha affidato singolarmente al momento dell’elezione.
Alle parole usate dal Papa sono stati attribuiti i più diversi significati. Sono analisi che hanno un qualche fondamento? O i termini scelti devono essere letti piuttosto in riferimento all’articolo del Codice in cui si parla della possibilità di rinuncia da parte del Vescovo di Roma?Ho notato che molte persone dicono «dare le dimissioni da un incarico», mentre, sul profilo puramente giuridico, la loro decisione non ha nessuna efficacia. La decisione è efficace quando un’autorità superiore ha accettato le dimissioni. La decisione delle persone è l’occasione dell’accettazione di un’autorità. Quindi, quando Benedetto XVI ha espresso la sua decisione, questa concezione sbagliata, a cui si aggiunge l’assenza delle considerazioni di ordine spirituale che abbiamo descritto sopra, fanno sì che molti osservatori non abbiano saputo trasmettere il carattere, in primo luogo, ecclesiologico, in secondo luogo, giuridico del modo in cui il Papa ha voluto esprimere la propria decisione.
Potrebbe decidere di tornare sui propri passi prima del 28 febbraio?La rinuncia è stata motivata dal Papa solennemente, davanti ai cardinali. Sapeva che stava avviando una procedura di rinuncia, il cui momento irreversibile sarebbero la data e l’ora indicate da lui. Si potrebbe, almeno teoricamente, ipotizzare che altri motivi, per esempio eventi straordinari, potrebbero cambiare le condizioni della messa in applicazione della rinuncia già canonicamente espressa. In questo caso, credo che il Papa avrebbe la libertà di esprimere un’altra volontà, motivata dalle condizioni ipotizzate.
Con quale titolo lo si potrà chiamare? Papa emerito? Si potrà continuare a riferirsi a lui come Benedetto XVI? O ritornerà a essere solo vescovo?In assenza di un canone o una regola che consenta di rispondere chiaramente, è necessario ricorrere a un canone del Codice di diritto canonico che tratta dei casi di lacuna delle leggi. Il canone dice che ci si può rivolgere alla "leggi date per casi simili". Nel caso, la decisione di Benedetto XVI è la rinuncia del Papa, che dal canone 331 è presentato come "
vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro". Allora è giusto dire, a mio parere, che avrà lo statuto di
vescovo emerito di Roma, membro del Collegio dei Vescovi, e che la primazia della Chiesa universale sarà affidata solo al suo successore sulla sede vescovile.
Cardinale?No.
Potrà esercitare un ruolo attivo nella Chiesa? È pensabile che il suo successore lo possa consultare, o addirittura gli riservi un ruolo stabile?Pare evidente che il successore saprà sfruttare la saggezza di governo e l’esperienza del suo predecessore.
Potrà scrivere? Pubblicare libri? Tenere conferenze?Scrivere e pubblicare, certamente. È un professore universitario emerito.