mercoledì 7 agosto 2013
Una nuova sentenza negli States riconosce che la Santa Sede non può essere accusata di responsabilità dirette nei casi di abusi commessi da esponenti del clero. Smontata la tesi dell'accusa che vede la Chiesa cattolica come una grande “azienda” in cui i vertici sono informati e hanno il controllo su tutti i sacerdoti del mondo.
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Una nuova sentenza negli Stati Uniti riconosce che la Santa Sede non può essere accusata di responsabilità dirette in casi di abusi sessuali commessi da qualsiasi esponente del clero nel mondo. La Corte d'Appello in Oregon, precisamente la U.S. Court of Appeals for the Ninth Circuit  ha infatti respinto lunedì scorso la causa, partita nel 2002, su presunte responsabilità della Santa Sede in un caso di abusi sessuali. La vicenda riguarda un sacerdote irlandese che dopo essere stato denunciato per abusi su un minore, avvenuti nel 1965, è stato segnalato dal suo ordine religioso alla Santa Sede che lo ha ridotto allo stato laicale nel giro di poche settimane.L'appello, rigettato dalla Corte con la motivazione che non doveva essere presentato, ha in particolare respinto quanto il ricorrente voleva affermare in linea di principio: e cioè che la Santa Sede sarebbe direttamente informata e avrebbe il controllo su tutti i sacerdoti nel mondo e che dunque dovrebbe essere accusata di responsabilità diretta nel caso accertato di abusi sessuali da parte di qualsiasi esponente del clero. Ma la causa è stata rigettata proprio perché la Corte ha riconosciuto che tale premessa è erronea.In realtà - come spiega l'avvocato della Santa Sede Jeffrey S. Lena in un comunicato - i sacerdoti sono sotto il controllo dei loro superiori locali e non sono, in conseguenza dello status clericale, "dipendenti" della Santa Sede, come potrebbe essere nel caso di una comune azienda. Inoltre, non è vero che la Santa Sede riceva e conservi informazioni su tutti i sacerdoti nel mondo.L'avvocato Lena, in un'intervista alla redazione inglese della Radio Vaticana, ricorda inoltre che si sarebbe voluto trattare la Chiesa cattolica come una grande società con a capo il Papa, alla stregua di un Chief Executive Officer, un amministratore delegato. E spiega che questo principio è stato respinto dalla Corte. Lena osserva che in questo procedimento il giudice «ha avuto l'opportunità di seguire da vicino i fatti, ha potuto incontrare tutte le parti e i testimoni legati alla vicenda del sacerdote e questo gli ha consentito di esaminare da vicino se ci fossero stati collegamenti con la Santa Sede, appurando che la Santa Sede era stata informata solo nel momento in cui era arrivata la richiesta di riduzione allo stato laicale del religioso da parte dei suoi superiori locali».Infine, l'avvocato Lena ricorda che ci sono stati due pronunciamenti simili negli Stati Uniti: cioè, altri due casi in cui è stato rigettato il ricorso in appello che avrebbe voluto dimostrare principi simili a quelli portati avanti dal ricorrente in Oregon. Si tratta dei casi ÒBryan, in Kentucky, e il John Doe 16, noto come caso Murphy, in Wisconsin.

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