Il neo-cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, durante le visite di calore in Vaticano mentre incontra i fedeli francesi - Gambassi
«Mi sento un vescovo mediterraneo. E ora cardinale…». Ha il volto sorridente Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia. E ha ragione a dirsi mediterraneo: non solo perché guida la Chiesa che ruota intorno alla più araba metropoli d’Europa e a una delle capitali del meticciato, ma anche perché la sua storia personale è tutta legata al grande mare. Nato 63 anni fa in Algeria, è stato anche lui un profugo con la sua famiglia, costretta a lasciare il Paese nordafricano dopo la proclamazione d’indipendenza. «All’epoca ero troppo giovane per avvertire il dolore dei miei genitori e di tutti coloro che, come loro, modesti lavoratori, non comprendevano né la rabbia di chi li aveva costretti a partire, né il disprezzo di chi non li voleva accogliere », scriveva nel 2019. È anche per questo che lui è un pastore accanto ai migranti. Come ha ricordato a Lourdes nel pellegrinaggio nazionale francese che ha guidato poco prima di giungere a Roma per il Concistoro. In una delle sue omelie ha denunciato il muro che l’Europa alza verso chi sbarca lungo le coste. «Anche loro sono uomini, donne, padri e madri di famiglia. Apriremo gli occhi, risveglieremo le nostre coscienze?», ha detto.
«Viviamo intorno a questo mare “tra le terre” – racconta ad Avvenire – che rappresenta un peculiare anello di congiunzione tra Africa, Europa e Oriente e che è segnato da tradizioni di scambio, da un complesso cosmopolitismo, da ferite antiche e nuove. Tutto ciò appare come il punto di partenza di un progetto di teologia mediterranea. Un percorso che analizzi e testimoni come in questo angolo del mondo le fedi qui germogliate si siano formate dialogando tra loro, come l’essere umano abbia acquisito una definizione originale, come si sia sviluppato un fecondo incontro fra le culture, come le crisi umanitarie o ecologiche incidano anche sulle fondamenta della nostra vita spirituale. Di fatto nel Mediterraneo la teologia incontra sfide che interrogano la Chiesa». Non è un caso che Aveline abbia già proposto al Papa un Sinodo sul Mediterraneo. «Visto che di recente Francesco ne ha voluto uno per l’Amazzonia, penso che il nostro bacino possa parlare a tutta la Chiesa», sottolinea. Ne è così convinto che il neo-cardinale è stato uno dei più tenaci sostenitori degli incontri dei vescovi del Mediterraneo voluti dalla Cei, prima a Bari nel 2020 e poi a Firenze lo scorso febbraio. E, dopo il coinvolgimento dei sindaci, aveva suggerito di puntare sui giovani nel prossimo appuntamento.
Considerato uno degli esperti di dialogo con l’islam “cari” a Francesco, è stato scelto dal Papa proprio per questa sua sensibilità come arcivescovo di Marsiglia. Era il 2019. A tre anni di distanza arriva anche la porpora. «La nostra è una città-laboratorio – spiega –. Perché è la polis dell’incontro e della mediterraneità, tutta protesa com’è verso il mare. La ritengo un concentrato dei problemi e delle ricchezze del bacino: dall’emergenza ambientale alla precarietà economica, dal dramma della violenza alle diverse forme di ingiustizia. Ma è anche un cantiere del dialogo con l’islam vista la presenza musulmana (un abitante su quattro segue il Corano, ndr). E non va dimenticato che annovera molte comunità di cristiani venuti dall’Oriente: maroniti, armeni, caldei, per citarne alcune. Come Chiesa ci impegniamo a far crescere il dialogo islamo-cristiano e al tempo stesso ad essere accanto ai cristiani del Medio Oriente. Non sono prospettive contrapposte». Una pausa. «Nonostante le difficoltà che si vivono, Marsiglia ci dice anche che la convivialità fra fedi, culture o storie diverse è possibile. Tutto ciò affascina il Papa. Allora lo attendiamo qui, dove potrebbe venire prossimamente e così parlare all’Europa da una delle sue periferie».
Oggi Aveline è l’unico cardinale alla guida di una diocesi in Francia. «La nostra Chiesa è segnata da una fortissima secolarizzazione e sta attraversando una profonda crisi. Ma, come mi ha detto il Papa, in un Paese dove Dio sembra essere scomparso dall’orizzonte, si assiste anche a una forte creatività pastorale ed emergono abbondanti segni di santità. Lo testimonia l’ultimo rito di canonizzazione a Roma lo scorso maggio: tra i dieci nuovi santi, tre erano francesi. Poi non mancano le risorse, soprattutto tra i giovani». La comunità ecclesiale è comunque ancora scossa dal rapporto indipendente sugli abusi che ha ipotizzato 216mila vittime dagli anni Cinquanta. «Possiamo discutere il metodo ma questo lavoro ci ha permesso di misurare la gravità del problema – conclude il porporato –. La Chiesa di Francia si assume le sue responsabilità. Ora serve sostenere le vittime e impegnarsi in un capillare percorso di prevenzione perché nulla di tutto ciò possa ripetersi».