Diceva di aver incontrato «Cristo con la tonsillite». E che questo gli aveva cambiato la vita. Una sera, rientrando a casa, su via San Ignacio, padre Alberto Hurtado si imbattè in un senzatetto con una grave infezione alle vie respiratorie. In lui, scorse il volto di Gesù che gli chiedeva aiuto.
Così, creò la principale delle sue opere: l’Hogar de Cristo. Da allora, sono trascorsi 74 anni e la struttura – ora ampia e moderna, con le pareti fresche di vernice scarlatta – continua ad accogliere gli ultimi fra gli ultimi, coloro ai quali non arriva alcun aiuto pubblico o privato. «Non vogliamo, però, limitarci a questo. Il nostro dovere è vivere l’esempio di san Alberto Hurtado nell’attualità. Cerchiamo, dunque, di adeguare il lavoro alle nuove forme di esclusione», spiega il gesuita Pablo Walker che da sette anni dirige l’Hogar de Cristo di Estación central, attiguo al Santuario dove si è recato papa Francesco, capofila di oltre 300 centri per poveri, malati psichici, alcolisti, minori a rischio, tossicodipendenti, sparsi per il Paese.
Negli ultimi anni, l’Hogar si è concentrato in particolare su un’emergenza 'forte' del Cile attuale: la cattura, da parte delle bande criminali, dei cosiddetti 'quartieri critici'. Zone - la Procura ne ha individuato 426 in tutta la nazione - in cui i diritti minimi dei cittadini - salute, educazione, trasporto, alloggio degno, servizi igienici - sono sistematicamente calpestati. In tale contesto di violenza strutturale, nell’ultimo ventennio, ha fatto irruzione l’industria del narcotraffico che, nelle aree marginali, smercia lo scarto della lavorazione della cocaina: la pasta base o paco. «Il boom del paco, la “droga dei poveri”, ha prodotto effetti devastanti. Non solo ha creato una pandemia di disagio psichico – prosegue il gesuita –. Il potere di seduzione e corruzione dei narcos ha disgregato il tessuto sociale delle comunità.
Con il nostro lavoro proviamo a 'ripararlo'. In tale azione, una delle nostre fonti di ispirazione principali, dall’inizio degli anni Duemila, sono stati i “curas villeros”, i sacerdoti impegnati nelle baraccopoli di Buenos Aires e il loro arcivescovo, Jorge Mario Bergoglio». Nel 2009, tale gruppo di preti pubblica il documento “La droga nelle villas depenalizzata di fatto”. Il testo colpisce come un pugno nello stomaco la società argentina, costringendola ad aprire gli occhi. I narcos se sono tanto irritati da scatenare un’ondata di minacce contro il più emblematico dei “curas villeros”, padre Pepe Di Paola, difeso pubblicamente dall’allora cardinal Bergoglio. La vicenda, in breve, varca la frontiera, filtrando in Cile, dove ancora il problema era rimasto invisibile. «La lettera dei sacerdoti argentini ci ha fatto prendere coscienza dell’esistenza di migliaia e migliaia di famiglie in ostaggio dell’esclusione e delle reti di spaccio. Abbiamo deciso di affrontare la questione al modo di padre Hurtado: scavare a fondo il problema, oltre le ricette punitive e penali, per individuare le cause e contribuire a risolverle».
Si è creata, così, una sorta di “rete australe” di collaborazione informale tra i gesuiti dell’Hogar e i preti delle baraccopoli di Buenos Aires. Non a caso questi ultimi hanno dato il nome di Hogar de Cristo ai loro centri di recupero per i tossicodipendenti. «Il confronto di esperienze ci arricchisce a vicenda. Partiamo da un fondamento comune: entrambi impariamo dai poveri. Sono loro i nostri maestri: la carenza di risorse li ha costretti ad avere uno sguardo essenziale sulla vita, intesa come relazione», sottolinea padre Walker. L’Hogar, da due anni, ha incentrato la missione non più solo sull’accogliere, bensì sull’invitare ad accogliere. «Stiamo facendo un lavoro sistemico per avvicinare lo Stato, le imprese e la società alle periferie dimenticate. Valorizzando le risorse che queste hanno per ricreare comunità Il messaggio del Papa, in questo senso, è prezioso. Ci aiuta a guardare il Cile del XXI secolo alla luce del Vangelo. Per ripensare, come Paese, il modello di sviluppo. E, come Chiesa, per attuare un’autentica conversione pastorale».