«Noi qui probabilmente non siamo chiamati al martirio ma nessuno è escluso dalla chiamata divina alla santità, a vivere in misura alta l'esistenza che implica sempre prendere la croce di ogni giorno su di sè, tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore più grande a Dio e trasformare la nostra stessa vita per trasformare così il nostro mondo». Con queste parole Benedetto XVI, durante l'udienza generale tenuta nel cortile interno del Palazzo di Castel Gandolfo, è tornato a ricordare i martiri citando San Lorenzo Diacono, San Ponziano Papa e Sant'Ippolito Sacerdote ma anche santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona di Europa e Massimiliano Maria Kolbe, entrambi morti ad Auschwitz.«In questa settimana - ha detto - avevo già accennato nell'Angelus, facciamo memoria anche di alcuni santi martiri sia dei primi secoli della Chiesa sia di un tempo a noi più vicino come santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona di Europa e Massimiliano Maria Kolbe, per soffermarmi sul martirio, una forma di amore totale a Dio. Dove si fonda il martitio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo di amore consumato sulla croce affinchè noi potessimo avere la vita. Cristo ci ha donato sè stesso nel riscatto per molti e ciascuno di noi ogni giorno deve prendere la sua croce». Il Papa ha citato il Vangelo «che dice chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me, chi avrà tenuto per sè la propria vita la perderà e chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà. È la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare la vita: Gesù stesso è il chicco di grano divino che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e proprio attraverso questo si apre e può così portare il frutto nella vastità del mondo».Il martire, ha proseguito, «segue il Signore fino in fondo accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo in una prova suprema di fede e di amore, i martiri testimoniano la forza della profonda e intima unione con Cristo: questa - però - non è il risultato dello sforzo umano ma un dono della sua grazia che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo, alla Chiesa e così al mondo. Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità, il coraggio nell'affrontare la sofferenza e la morte. La potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza e nella povertà di chi si affida a lui e risponde solo in lui la propria speranza. Ma dobbiamo sapere che la grazia di Dio non sopprime o soffoca libertà di chi affronta il martirio: una libertà nei confronti del potere e del mondo esercitata in un supremo atto di fede, speranza e carità compiuto da chi sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al sacrificio di Gesù compiendo un grande atto di amore in risposta all'amore di Dio».