Oggi un terzo della popolazione mondiale vive in Paesi in cui stanno crescendo le restrizioni nei confronti della fede e le ostilità sociali basate su differenze religiose. Diventa quindi difficile per le persone praticare il proprio credo e la stessa fede può diventare sinonimo di disprezzo e settarismo, e non di riconciliazione e giustizia, i valori fondamentali delle fedi del mondo. Il diritto alla libertà di religione sancito nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite è spesso abrogato in nome di una presunta sicurezza nazionale. Le restrizioni ai diritti legittimi delle minoranze religiose non aiutano l’armonia sociale. È evidente che, invece, siano all’origine dei crescenti conflitti legati alla religione determinando altre conseguenze negative. E non è una buona notizia per i governi che perdono credibilità e legittimità nei confronti dei propri cittadini. L’Europa è tutt’altro che immune da queste pressioni. In un rapporto recente del
Pew Research Center, nel 2009 l’Italia rientra nella categoria dei Paesi con un basso livello di restrizioni governative sulla religione ma con una moderata ostilità sociale nei confronti delle persone di altre fedi. Come molti Paesi del Sud Europa, la cattolica Italia è sempre più consapevole di essere il confine nord del musulmano Nord Africa. Questo è il background della mia
Faith Foundation che tiene una serie di quattro seminari in autunno (il 13 ottobre s’è svolto a Roma, oggi a Bologna; il 10 novembre a Milano e il 30 a Venezia, ndr), in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà, l’Università Luiss Guido Carli di Roma, l’Università di Bologna, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. La nostra iniziativa
Faith and Globalisation (Fede e globalizzazione) coinvolge università in tutto il pianeta per analizzare l’importanza della religione nel mondo interconnesso del ventunesimo secolo. La prospettiva italiana in questa serie di seminari conferma il ruolo che la religione svolge nelle complesse sfide contemporanee che la società italiana si trova ad affrontare. (...) Ma cosa significa per una democrazia essere «amica della religione» e come possono i governi democratici salvaguardare i diritti delle minoranze religiose? Gli uomini di Stato e i leader politici che ignorano l’importanza dell’identità religiosa oggi lo fanno a loro rischio e pericolo. La tensione fra diritti religiosi individuali e collettivi, il bisogno di un’identità aperta che convive con la diversità, per una libertà religiosa posta al cuore dei diritti umani, sono tutti problemi comuni all’intera Europa. Creare una cultura di dialogo, rispetto e comprensione per le altre fedi non è un optional. «La persona umana ha diritto alla libertà religiosa e tutte le persone, in ogni parte del mondo, dovrebbero essere immuni da costrizioni da parte di individui, gruppi sociali e ogni potere umano», scrive Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica
Ecclesia in Europa. Ma, per un’Europa sempre più secolarizzata, anche le più fondamentali domande devono essere poste e ottenere risposta: perché la fede è importante in un mondo globalizzato? Quali valori e virtù sono richiesti in questo passaggio di globalizzazione per sostenere il pluralismo politico e religioso delle nazioni democratiche del ventunesimo secolo? E di quale educazione hanno bisogno i giovani per essere pronti a vivere questo mondo in cui differenti fedi, inevitabilmente, si incontrano? Durante la mia esperienza come primo ministro, la fede è stata una forza propulsiva straordinaria nel campo dello sviluppo internazionale, della salute e dell’educazione. Lo studio su fede e globalizzazione è diventato essenziale per l’attuale vita accademica. Vorrei che si radicasse nelle università italiane per aiutarci a comprendere l’impatto della religione, positivo o negativo che sia. Uno straordinario esempio di Chiesa globalizzata che ha saputo creare una solida rete di interconnessione è l’Unione Superiore Maggiori d’Italia, che contrasta con la sua battaglia il traffico sessuale, il lato più oscuro della globalizzazione, lavorando con religiose in giro per il mondo. Una protagonista assoluta di questa missione pastorale nei confronti delle donne vittime della tratta, suor Eugenia Bonetti, ha affermato con orgoglio: «Abbiamo una rete più potente di Al-Qaeda». Possa questa essere la realtà dominante nel secondo decennio dopo l’11 settembre.