La statua di Gesù Bambino nel Duomo di Milano - Fotogramma
Quando la dolce luce del Natale entra nei cuori, silenziosamente li trasforma. Avvenne così nella vita dei santi: furono uomini e donne come noi, ma seppero aprirsi alla grazia, come i fiori alla rugiada. È rimasta famosa la data del 25 dicembre 1886, che segnò una svolta nell’esistenza di santa Teresa di Lisieux (1873-1897). In quella notte santa, la bambina sensibilissima e facile alle lacrime, segnata a fondo dalla morte prematura della mamma, si trasformò in una giovane resiliente e serena. Lo ricorda lei stessa nella Storia di un’anima, la sua autobiografia: «Gesù, il dolce piccolo Bambino, cambiò la notte della mia anima in torrenti di luce». L’episodio si svolse nella cerchia familiare: il padre di Teresina, tornato stanco dalla Messa di mezzanotte, disse una frase un po’ irritata nel vedere sul camino le scarpette con i regali. Teresina si sentì ferita, ma seppe dominarsi.
Ecco il suo racconto: «Reprimendo le lacrime, scesi rapidamente la scala e comprimendo i battiti del cuore, presi le mie scarpe e, mettendole davanti a papà, tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria felice di una regina. Papà rideva, anche lui era ridiventato gioioso… Sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora fui felice!». Memore di questa «grazia della completa conversione» ricevuta a Natale, Teresa avrebbe voluto entrare al Carmelo il 25 dicembre dell’anno successivo. Anche se il suo ingresso avvenne il 9 aprile 1888, tutta la sua vita religiosa fu una «corsa da gigante» nella via dell’amore, proprio come aveva desiderato davanti al caminetto di casa.
La stessa determinazione sostenne la vita di un grande missionario francese, san Jean de Brébeuf (1593-1649). Figlio primogenito di una famiglia normanna di antica nobiltà che nel suo albero genealogico contava alcuni confessori della fede nelle persecuzioni durante il regno di Enrico VIII d’Inghilterra e poi di Elisabetta, Jean fin da giovane si diede a Dio con un amore ardente, desiderando di poter diventare a sua volta martire di Cristo. Divenuto gesuita, chiese di essere inviato nella Nuova Francia, nell’attuale Canada, nella missione più dura. Incaricato di evangelizzare gli uroni, divenne uno di loro, condividendo la loro vita e imparando la loro lingua così bene che compilò un dizionario e una grammatica.
Notando l’innato amore degli autoctoni per la musica, scrisse per loro un inno natalizio, «Jesous Ahatonnia», («Gesù è nato»). Si tratta di un intelligente esempio di inculturazione, in cui fra l’altro il santo descrive i magi che ungono d’olio il capo del piccolo Gesù, proprio come gli uroni solevano fare con i loro bambini. Anche dopo la morte di san Jean, che nel 1649 fu torturato e ucciso dagli irochesi, nemici degli uroni durante la sanguinosa «guerra dei castori», l’inno, tramandato oralmente di generazione in generazione, continuò ad essere cantato. Così è giunto fino a noi. Anzi, oggi il canto, insieme al dizionario e alla grammatica di Brébeuf, serve agli studiosi autoctoni per riscoprire e riprendere a parlare la propria lingua, ormai quasi scomparsa. Molto nota anche la poetica traduzione in inglese di Jesse Middleton che inizia con questi versi: «Fu durante la luna d’inverno / quando gli uccelli erano volati via / che il possente Grande Spirito / mandò cori di angeli». La versione originale invece cominciava così: «Abbiate coraggio, voi che siete esseri umani. Gesù è nato». Durante il martirio, il coraggio di san Jean de Brébeuf fu tale che i suoi stessi aguzzini rimasero ammirati. Davvero, egli aveva imparato dal Bambino Gesù sia la dolcezza per amare i suoi persecutori sia la forza d’animo per i momenti di prova.
Anche san Giovanni Bosco (1815 -1888), nel gelido Natale del 1845, circondato da tanti ragazzi senza avere locali adeguati per accoglierli, stretto dalla povertà, seppe attingere dal piccolo Gesù la capacità di affrontare serenamente ogni difficoltà. E ai suoi giovani disse sorridendo: «Non temete, è già preparato un edificio bellissimo per voi». La sua fede non andò delusa: nel Natale successivo, poté celebrare la Messa di mezzanotte nella casetta Pinardi. Gioia a non finire. I fanciulli cantarono un inno natalizio composto nel dicembre 1842 dallo stesso don Bosco: «Ah! Si canti in suon di giubilo. / Ah! Si canti in suon d’amor. / O fedeli, è nato il tenero / nostro Dio Salvator». Quella sera don Bosco esclamò: «Mi pare di essere in paradiso». E ai suoi giovani insegnava: «Un Dio che si fa uomo! Bisogna che la mia anima sia qualcosa di grande, se i cieli e la terra si commuovono, e un Dio viene a farsi bambino proprio per me».