n dato su tutti. Che vale molto più di un curriculum. Dal 1998 ad oggi lei e le sue consorelle hanno salvato dalla strada più di seimila donne vittime della prostituzione coatta. Lei è suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, rientrata in Italia dopo 24 anni di servizio in Kenya. Ma anche "a casa" non ha smesso di stare in missione. Nel 1993 ha infatti cominciato ad assistere le donne immigrate vittime di spietate organizzazioni criminali e avviate al marciapiede. Dal 2000 dirige l’ufficio contro la tratta dell’Usmi (Unione delle Superiore maggiori d’Italia). E come presidente dell’organizzazione n dato su tutti. Che vale molto più di un curriculum. Dal 1998 ad oggi lei e le sue consorelle hanno salvato dalla strada più di seimila donne vittime della prostituzione coatta. Lei è suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, rientrata in Italia dopo 24 anni di servizio in Kenya. Ma anche "a casa" non ha smesso di stare in missione. Nel 1993 ha infatti cominciato ad assistere le donne immigrate vittime di spietate organizzazioni criminali e avviate al marciapiede. Dal 2000 dirige l’ufficio contro la tratta dell’Usmi (Unione delle Superiore maggiori d’Italia). E come presidente dell’organizzazione
Slaves no more, suor Eugenia coordina il reinserimento delle vittime della tratta nei loro Paesi di origine.
Come si svolge il vostro impegno?Per anni una notte a settimana siamo andate nei luoghi di prostituzione (a Roma sulla via Salaria, per esempio) a parlare con le ragazze costrette a svolgere questo turpe mercimonio. Con noi c’era sempre una suora che parlava il rumeno e una che sapeva l’inglese, quest’ultima per parlare con le nigeriane. Offrivamo un’alternativa, cercavamo di entrare in sintonia umana con loro, senza giudicare, ma facendo capire che c’è una via di uscita alla schiavitù in cui erano cadute. Solo in Italia abbiamo salvato 6.000 donne.
Bastava parlare con loro?
No, certamente. Il percorso per strapparle alla tratta è lungo e difficile. Abbiamo creato un numero verde al quale potevano rivolgersi quando si sentivano in pericolo o quando decidevano di dire basta. E di grande aiuto per la nostra azione è stata una legge del 1998 che ci ha fornito gli strumenti anche giuridici per poter agire.
In che senso?
In base a questa legge le ragazze che accettano di venire nelle nostre case e di avviare un percorso di rinascita umana e spirituale possono chiedere i documenti alle loro ambasciate. Quasi tutte, infatti, ne sono prive. E una volta ottenuti i documenti, possono chiedere un primo permesso di soggiorno, prorogabile. Se poi, nel corso della riabilitazione, riescono a trovare un lavoro, possono avere un permesso di soggiorno normale, come qualunque altro immigrato che viene in Italia per lavorare.
In che cosa consiste il percorso di rinascita?Sono ragazze strappate alle loro famiglie e alla loro terra con l’inganno (la prospettiva di un lavoro o addirittura di un matrimonio), picchiate, violentate costrette a prostituirsi. Alcune – soprattutto le africane, per cui la maternità è un grande valore – scappano quando restano incinte, per paura di perdere il bambino. Altre hanno abortito. Noi cerchiamo di restituir loro la fiducia negli altri che hanno perso. Le avviamo al lavoro e offriamo una duplice prospettiva. Restare in Italia per lavorare, oppure tornare a casa ma non a mani vuote, perché questa sarebbe per loro un ulteriore fallimento.
Alla conferenza stampa di ieri, oltre a suor Bonetti, erano presenti anche altre religiose, tra cui la comboniana, suor Gabriella Bottani, attualmente responsabile di
Talitha Kum, una rete contro la tratta, presente in 81 Paesi con oltre mille religiose impegnate.