«Li perdono tutti». L’ultima lettera che José Nadal Guiu inviò ai genitori – poco prima della morte – rivela la straordinaria fede di questo giovane sacerdote. Era il 12 agosto 1936: quando venne fucilato aveva appena 25 anni. Padre José sarà uno dei 522 nuovi martiri spagnoli che saliranno agli onori degli altari il prossimo 13 ottobre a Tarragona, in Catalogna, nella più grande cerimonia di beatificazione mai realizzata dalla Chiesa iberica. «I martiri del XX secolo in Spagna furono saldi e coraggiosi testimoni di fede. Preferirono morire, piuttosto che tradire quella fede », sottolinea il vescovo Juan Antonio Martínez Camino, segretario generale e portavoce della Conferenza episcopale spagnola (Cee).Ma attenzione alle interpretazioni forzate: qui la politica e il conflitto interno di quegli anni bui non c’entrano assolutamente nulla. Per questo non possono essere definiti «martiri della Guerra civile»: sarebbe un errore. «Non sono caduti in guerra, perché non stavano al fronte», in battaglia, e «non si trovavano in nessun esercito », ha ricordato Camino. «Morirono a causa della persecuzione religiosa degli anni ’30 in Spagna, vissero la loro fede fino alla fine e perdonarono». Furono uccisi in nome dell’«odio verso la fede». Le loro parole e la loro testimonianza sono ancora profondamente attuali. Ancor più oggi, durante l’Anno della fede. «Non stiamo parlando di persone del XVI secolo: sono persone della generazione dei nostri nonni, che usavano il linguaggio dei giorni nostri», ha aggiunto il portavoce della Cee. Nel lungo elenco dei nuovi martiri ci sono un centinaio di sacerdoti, tre vescovi, 412 religiosi di 23 congregazioni, ma anche laici e seminaristi. Sette martiri, inoltre, erano arrivati in Spagna da diversi Paesi: Colombia, Portogallo, Cuba, Francia e Filippine. La ragione fondamentale per celebrare la beatificazione nella località catalana sta proprio nelle dimensioni della causa proveniente da Tarragona, con 147 martiri, fra i quali il vescovo ausiliare Manuel Borrás e 66 sacerdoti. Non solo. C’è un altro motivo, che va ricercato nella storia antica di questa terra ricca di fede cristiana: nel 259 d.C. il vescovo di Tarragona, san Fructuoso, e i suoi due diaconi, Augurio e Eulogio, furono bruciati vivi nell’anfiteatro romano della città catalana, diventando così protomartiri del cristianesimo spagnolo. È anche per questo che è stata scelta questa diocesi per la beatificazione. La cerimonia sarà presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi; accanto a lui ci saranno numerosi vescovi spagnoli, fra i quali il presidente della Cee e arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela. L’atto sarà trasmesso dal Canale 2 della televisione pubblica spagnola, ma a Tarragona arriveranno fra i 15mila e i 20mila fedeli. Le ferite di quel periodo non sono del tutto chiuse. In Spagna la Guerra civile (1936-1939) è tuttora argomento sensibile e facilmente strumentalizzabile dalla politica. Camino ha ribadito che con quest’atto religioso la Chiesa «non cerca colpevoli», ma è mossa solo dalla volontà di «rendere onore ai testimoni della fede». Gli ha fatto eco il vescovo di Tarragona, Jaume Pujol Balcells: «Una cerimonia di beatificazione non va contro nessuno: l’obiettivo è esaltare la figura degli uomini che realmente morirono per la loro fede». Come ha spiegato anche Encarnación González, coordinatrice del processo di beatificazione, «la Guerra civile non provoca martiri, ma caduti». Al contrario, «il martire non ha impugnato armi, ma è stato cercato e assassinato esclusivamente a causa della sua fede».