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Rallentare il passo e accogliere con tenerezza, nonostante il resto della società sia intento a barcamenarsi nel cambiamento d’epoca. Agli operatori sanitari, papa Francesco nel suo messaggio per la 32ª Giornata del malato, che si celebra domani, chiede di non lasciare solo nessuno. La solitudine non è una malattia, ma come tale andrebbe trattata con la medicina della relazione che crea quella “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare. E infatti «non è bene che l’uomo sia solo», rammenta Francesco, citando la Genesi. Un invito che le diverse voci della sanità assumono come impegno, anche se le criticità aumentano. «L’intuizione della Scrittura e il riferimento del Papa collimano con le ricerche degli esperti che indicano come la più grande paura delle persone sia morire da soli», osserva don Mario Cagna, cappellano nell’ospedale di Sestri e assistente spirituale nell’hospice di Chiavari.
«In un centro di cure palliative – continua – gli operatori non sono attenti solo ai bisogni fisici ma a tutto ciò che ruota attorno alla persona. Per familiari e amici non ci sono orari e questo li sorprende». La preoccupazione più grave oggi è per i numeri: «Mancano i posti letto negli hospice – avverte don Mario – e negli ospedali manca il tempo per instaurare una relazione. In molti reparti riescono ed è ammirevole ma anche gli operatori sono soli e le risorse poche». Non come scarto ma come parte attiva della società, vive la condizione di paziente Angela Martino, past president della Associazione italiana sclerosi multipla (Aism). Nel 2007 ha ricevuto la diagnosi ma i primi sintomi erano comparsi anni prima. «Stringo i denti e vado avanti – dice –. Anche i miei genitori sono anziani e malati ma ci prendiamo cura insieme. Ho sempre detto che prendevo su di me un pezzetto di sclerosi multipla degli altri, non per fare il supereroe ma perché il percorso diventasse più leggero». Per Angela, insegnante a Gioia Tauro, in un contesto a volte difficile, il messaggio del Papa è stato un secondo abbraccio. «Nel 2018 – ricorda – con l’Associazione siamo stati ricevuti in udienza. A Francesco ho chiesto un abbraccio per tutti i pazienti».
Ai pazienti cronici e anziani dovrà guardare l’assistenza sanitaria nei prossimi cinquant’anni. Serviranno più infermieri, proprio le figure oggi più carenti. Secondo la Corte dei conti, all’appello ne mancano 65mila e, per l’Inps, nei prossimi dieci anni ne andranno in pensione 100mila. Anche nelle facoltà le domande di iscrizioni scendono del 10%. «Solo in occasione della pandemia la società ha iniziato a capire il ruolo peculiare dell’infermiere ma raramente è riconosciuto il nostro lavoro», commenta Maurizio Zega, consigliere della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) e direttore assistenziale dell’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola. Per Zega, la sanità digitale può rappresentare un’occasione per recuperare il tempo da dedicare alla relazione fra operatore e paziente: «Le nuove tecnologie possono servire a ottimizzare le risorse fra cui il tempo, ma dobbiamo tutelare la dimensione etica dell’uso della digitalizzazione che muterà e avrà un impatto nei rapporti».
Chi pensa al malato e ai suoi bisogni come all’obiettivo del proprio lavoro è Michele Maio, oncologo medico ordinario di oncologia dell’Università di Siena e ricercatore della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. Al trattamento immunologico il professor Maio ha dedicato una vita intera, dividendosi fra i più prestigiosi centri oncologici in Italia e negli Stati Uniti. Anche la sua attività davanti a un microscopio può rappresentare una forma di relazione: «La ricerca ha ben presente i bisogni del paziente – afferma –. Contro il cancro abbiamo molte strategie terapeutiche efficaci ma ci sono ancora situazioni cliniche in cui è necessario fare di più. Da oncologo medico, la mia attività di ricerca è sempre stata focalizzata all’immunoterapia, cercando – mi si passi il termine – di convincere il sistema immunitario del paziente a reagire contro il suo stesso tumore. Oggi questa strategia è una realtà perché ci sono molti farmaci che dall’interno riescono a tenere sotto controllo la malattia. Non tutti i pazienti però, circa il 50%, traggono beneficio dall’immunoterapia e l’impegno come ricercatore è trovare nuove strade. Stiamo lavorando, guardando a questa popolazione che deve essere tenuta da conto, sperimentando in clinica nuove combinazioni terapeutiche, anche grazie al sostegno di Airc».
Nel messaggio del Papa c’è un riferimento alle guerre e ai contesti in cui manca l’assistenza. Martina Paesani è coordinatrice infermieristica del 118 presso l’ospedale di Teramo e per Medici senza frontiere è appena rientrata da Gaza dove ha lavorato all’ospedale di Al-Aqsa. «Lì – racconta – la relazione di cura è essenziale». Nelle parole di Francesco, Martina si stupisce di ritrovare il senso della sua esperienza da poco vissuta: «Nella Striscia vivevamo in 25 in tre stanze e mi rendo conto quanto sia stata una crescita far parte di quella piccola comunità. Non solo per la forza che ho ricevuto ma anche per la condivisione. Sotto i bombardamenti, mi sono ritrovata nei loro occhi, riportandomi nel posto giusto con le persone giuste. Nella Striscia – continua – c’è un assalto che investe chiunque, non ci sono corridoi umanitari. Le vittime non sono solo quelle delle bombe ma tutte perché la mancanza di cure determina un post operatorio infausto». Come infermiera, Martina ha condiviso la tragedia della guerra ma ha anche sperimentato la vicinanza: «Mi sono ritrovata a pensare che i blocchi non potevano fermare l’essere lì, vicino a quel popolo».