Il rabbino Abraham Skorka e Papa Francesco
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento che sul volume 'Il vocabolario di Papa Francesco' rav Abraham Skorka dedica alla parola 'amicizia'. Skorka, nato a Buenos Aires, è rettore del Seminario rabbinico e rabbino della comunità Benei Tikva. Nel libro racconta il suo storico legame con il Papa.
Tra il 2011 e il 2012, insieme all’allora arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio, e al biblista Marcelo Figueroa, abbiamo registrato trentuno programmi televisivi che sono stati trasmessi sull’emittente dell’arcidiocesi. Per la loro realizzazione eravamo soliti incontrarci due o tre volte al mese. All’inizio del febbraio 2013 ci siamo dati un arrivederci, poiché cominciava il mio periodo di vacanze estive. Tutti e tre avevamo concordato che la registrazione successiva, nel mese di marzo, sarebbe stata sull’'amicizia'. Al rientro dalle mie ferie, Bergoglio era a Roma e si preparava al Conclave che lo avrebbe poi eletto Pontefice della Chiesa cattolica. Dopo la sua elezione, da ogni parte del mondo avevano cominciato a mettersi in contatto con me per avere informazioni su quest’uomo che era diventato il primo Papa latinoamericano della storia. Il libro di conversazioni che avevamo scritto insieme fu la ragione di quelle chiamate. Mi sono trovato di fronte al dilemma di svelare la sincera e profonda amicizia che c’era tra noi per mezzo di aneddoti ed episodi che, fino ad allora, erano rimasti nel nostro intimo o di continuare a mantenerli segreti. Avevo capito però che il sentimento fraterno che era nato tra noi non era più nostro, e che doveva servire come testimonianza per coloro che se ne interesseranno nella nostra realtà frammentata.
«MI HANNO BLOCCATO E NON MI LASCIANO PIÙ TORNARE»
La sera dell’elezione come Sommo Pontefice, ho ricevuto la sua chiamata al telefono. Mi dice: «Sono Bergoglio. Mi hanno bloccato qui a Roma e non mi lasciano più tornare». Non era una semplice battuta. Ho sentito nelle sue parole la necessità di parlarmi della sua nuova situazione di vita. A quel punto io gli ho parlato della mia decisione di condividere gli aneddoti relativi a come ci eravamo conosciuti e tante altre cose che fino ad allora erano solo nostre. Al termine della conversazione mi dice il motivo della sua chiamata, confermando la percezione che avevo avuto della sua battuta. Mi dice: «Annotati il mio indirizzo di posta elettronica ». La nostra amicizia cominciava a svilupparsi per altre vie. Non più gli incontri a Buenos Aires, in cui un viaggio in metropolitana di venti minuti ci faceva incontrare per discutere un progetto. Da quel momento, email e telefono oppure attraversare l’Atlantico e mezzo Mediterraneo. L’amicizia si forgia in due. Entrambi devono coincidere nei valori e nelle attitudini. Per entrambi l’amicizia è un termine prezioso che fa riferimento ad una relazione umana in cui le parti mantengono una indistruttibile fedeltà e nella quale l’una sa corrispondere ai gesti dell’altra. Pur senza conoscerci a fondo, abbiamo cominciato a preparare un percorso comune fatto di dialogo. Ho percepito come Dio abbia incrociato le nostre strade affinché insieme potessimo forgiare un messaggio di concordia e di comprensione tra ebrei e cattolici da condividere, in generale, con tutti. Ciò che era strettamente personale lo sbrigavamo in fretta, dal momento che l’uno era in sintonia con il sentimento dell’altro. Parole chiare, frasi laconiche, con le quali si dimostrava di cogliere ciò che stava accadendo nel cuore dell’altro. Poi si tornava a pensare, a pianificare per servire umilmente l’uomo, che sentiamo essere la forma più sublime, più elevata di servire Dio (...).
UNA FOTO INSIEME
Ci sono alcuni momenti della nostra amicizia che rimarranno per sempre impressi nella mia memoria. Come quello in cui trovandoci, io e lui, nel suo studio privato e lasciandomi da solo per alcuni minuti, poiché doveva cercare un libro in biblioteca per mostrarmelo, dopo una chiacchierata sulla letteratura religiosa latinoamericana, avevo buttato l’occhio sugli oggetti che abbellivano il suo luogo personale di lavoro, oggetti chiaramente per lui molto significativi e fonte d’ispirazione. Avevo notato la foto che gli avevo regalato, in cui c’eravamo noi due insieme. L’aveva fatta incorniciare e posta accanto ad un’altra foto di indubitabile valore per lui. La vera amicizia non si esprime necessariamente con le parole o gesti eclatanti, bensì ancor meglio con un silenzio trascendente e con azioni di affetto che si rivelano a suo tempo. Infatti, lo sviluppo di questa storia avvenne tempo dopo. Lavoravamo ad un libro. Jorge aveva proposto che ci incontrassimo alternativamente una volta nel suo ufficio e un’altra al tempio, da me. Ci riunivamo in una casa adiacente al tempio, dal momento che il mio ufficio è molto piccolo. Una volta avevo dovuto fare una telefonata, per questo lo avevo portato nel mio ufficio dove scoprì che tra gli oggetti a me più cari vi era anche il suo messaggio autografato in occasione della sua presenza nella mia comunità, Benei Tikva, per le preghiere di Selijot, che si recitano come introduzione all’inizio di un nuovo anno. Si era fermato, guardando a lungo quel quadro. Percepii che stava provando quello che avevo provato io da lui. Quando il giornalista Sergio Rubin mi aveva chiamato per informarmi della biografia dell’arcivescovo di Buenos Aires, che lui aveva redatto con Francesca Ambrogetti, e mi aveva riferito che era stato Bergoglio stesso che, da lui consultato su chi desiderava che curasse la prefazione, aveva fatto il mio nome, un’emozione molto particolare mi aveva assalito. Mi impressionava il fatto che per la prima volta in duemila anni in una biografia autorizzata da un cardinale, arcivescovo di una delle città con la presenza di cattolici tra le più importanti del mondo, per la prefazione fosse scelto un ebreo, un rabbino. Avevo capito che questo fatto in sé andava oltre la nostra amicizia, e anche che solo in virtù di tale amicizia poteva verificarsi un fatto del genere. Quando, tempo dopo, gli avevo chiesto come mai avesse scelto me per la presentazione del libro, senza esitazione e senza doverci pensare su, Bergoglio aveva risposto: «Mi è uscito così, dal cuore» (...).