«Ripensare e rivedere gli strumenti anche giuridici per garantire la cura delle anime dei fedeli della diaspora. Il territorio non è più, oggi, a fronte della sfida crescente delle migrazioni, un concetto geografico, ma antropologico. Il territorio di tutte le Chiese sui iuris è costituito dalle persone dei fedeli laddove per varie necessità, hanno deciso di vivere». A chiederlo è stato, ieri,
il card. Lubomyr Husar, arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyc (Ucraina) intervenuto al Sinodo con un testo scritto.Il porporato ha ricordato che sono ben 5 milioni gli ucraini migrati verso il mondo intero e verso l'Europa occidentale che hanno trovato «generalmente una buona accoglienza dalle diocesi latine», ma questo «non ci solleva dalla grave responsabilità che abbiamo di salvaguardarne la fede secondo la tradizione orientale alla quale appartengono». «La diversità non è un pericolo, ma un irrinunciabile tesoro per la Chiesa Universale – ha ribadito il cardinale - naturalmente tenendo conto del fatto che il Successore di Pietro ha il divino mandato di dirigere il coro perché non ci siano stonature e venga così garantita la sinfonia della verità e della carità. Dobbiamo trovare il coraggio nello Spirito Santo di vivere l'armonia nella molteplicità o diversità in tutte quelle regioni che fino a pochi decenni fa per motivi storici sono state caratterizzate dalla presenza di un unico Rito e si sono abituate ad una specie di monopolio». Il card. Husar si è poi soffermato sul concetto di «apostolicità e vocazione missionaria» chiedendosi se «il singolare fenomeno della massiccia migrazione dei nostri fedeli non è forse un segno inviato dallo Spirito Santo» perché le chiese di tradizione orientale escano «come Abramo dalle certezze di Ur dei Caldei per andare ad gentes. La ricchezza della nostra spiritualità e delle nostre liturgie è un patrimonio da condividere e non da tenere gelosamente custodito o addirittura nascosto nelle nostre comunità». Da qui due proposte: «Costituire un organismo formato dai Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali in comunione con Roma, simile al Sinodo Permanente della Tradizione Orientale, tramite il quale il Successore di san Pietro può confortarci, sostenerci e consigliarci nel dare pienezza evangelica al nostro ministero e alla nostra missione, e la convocazione in un prossimo futuro di un sinodo con a tema la natura e il ruolo delle Chiese Cattoliche Orientali».
IL DIALOGO CON I MUSULMANI«Ricorrere alla figura della vergine Maria», rispettata dall’Islam, «nel dialogo e in ogni incontro con i musulmani»: è la proposta di
mons. Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri (Libano) fatta ieri al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, alla luce delle difficoltà che rendono inefficaci gli incontri con i musulmani. Tra queste difficoltà l’arcivescovo ha citato il fatto che «il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria. Nel Corano, poi, non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne».
I CATTOLICI NEL MEDIO ORIENTEDavanti all’aumento, grazie al fenomeno migratorio, del numero dei cattolici nel Medio Oriente, «tanto che non sono poche le comunità cristiane composte quasi esclusivamente da immigrati», «è decisivo sollecitare un impegno politico a livello mondiale che affronti le cause dell'emorragia di uomini e donne, che svuota le Chiese del Medio Oriente e i luoghi in cui il cristianesimo è nato e si è sviluppato. Sarebbe terribile se la Terra Santa e i Paesi limitrofi, culla del cristianesimo, diventassero un museo di pietre». Sono parole di
mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Medesimo impegno deve essere rivolto verso «la formazione al rispetto della centralità e della dignità di ogni persona umana, l'opposizione alla xenofobia e il sostegno all'integrazione». Mons. Vegliò ha affermato di notare «anche il rischio che le singole Chiese orientali cattoliche si ripieghino su se stesse. Le comunità cristiane del Medio Oriente devono essere incoraggiate ad una migliore conoscenza reciproca, che le aiuti a rispettarsi e ad apprezzarsi maggiormente, a collaborare e a lavorare insieme per avere maggior peso» così come a «rimanere in patria per svolgere là la loro missione di ‘lievito’, attraverso la testimonianza della comunione».