Si potrà aprire una nuova stagione di ricerche non invasive sulla Sindone? È ancora presto per dirlo, ma le premesse sono incoraggianti. Nei giorni scorsi, per la precisione il 5 e 6 maggio, si è riunito a Chambéry il Comitato scientifico del Centro internazionale di sindonologia: all’incontro hanno partecipato studiosi di tutto il mondo, uniti da interessi ed esperienze di ricerca connessi al “Telo” di Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Cristo deposto dalla croce.
L’incontro si è tenuto a Chambéry nell’ambito di un “gemellaggio” sempre più stretto fra le due città alpine: prima di giungere a Torino nel 1578 la Sindone era custodita nella capitale dei Duchi di Savoia e conserva anche oggi una memoria precisa di quella presenza, oltre a importanti reperti dell’epoca. All’incontro hanno partecipato fra gli altri, da Torino, il direttore del Centro internazionale di sindonologia (Cis) Gian Maria Zaccone, che commenta così i risultati: «L’incontro è stato molto proficuo. È stata l’occasione anche per ribadire e condividere alcuni punti fermi della visione e della missione del Cis e della sua Commissione scientifica. Il Centro non ha alcuna finalità precostituita di difendere o meno la cosiddetta autenticità della Sindone. Suo scopo è di applicare metodologie strettamente scientifiche nello studio del “reperto” Sindone. Per questa ragione sono stati chiamati specialisti di varie discipline, di varia estrazione anche religiosa, e non tutti necessariamente dello stesso avviso relativamente alla possibile origine della Sindone ».
C’era anche, a Chambéry e il giorno precedente a Torino, Paolo Di Lazzaro, che attualmente del Centro torinese è vicedirettore. Fisico, dirigente di Ricerca dell’Enea di Frascati, Di Lazzaro ha dedicato alla Sindone studi recenti e molto significativi proprio nel campo delle ricerche non invasive sul Telo. Nell’ambito della datazione della Sindone lo scienziato dell’Enea ritiene che importanti - e “nuovi” - risultati si possano ottenere non da un esame diretto sul Telo ma dall’analisi delle fibre carbonizzate rimosse dalla Sindone in occasione del restauro del 2002. Il ragionamento è semplice: la carbonizzazione del tessuto della Sindone a seguito dell’incendio del 1532 ha reso i fili carbonizzati più impermeabili ai legami chimici con inquinanti rispetto al tessuto non bruciato.
Di conseguenza, una datazione C-14 dei fili carbonizzati e prelevati dal telo sindonico in occasione del restauro del 2002 presenta due vantaggi: non si tocca la Sindone e si ottiene una datazione C14 che ci aspettiamo sia indipendente dall’inquinamento chimico successivo al 1532. Intorno a questa ipotesi Di Lazzaro non può, tuttavia, non aggiungere considerazioni “pesanti” a riguardo delle modalità con cui fu condotto l’esame della datazione col metodo del C-14 nel 1988. Prima ancora di entrare nel merito degli esiti comunicati Di Lazzaro discute il metodo con cui le analisi furono eseguite, e la correttezza dei protocolli a cui i laboratori dichiararono di attenersi; e, ancora, le modalità con cui Nature, la rivista internazionale che pubblicò i risultati, si permise di indicare come 'definitivi' i valori ottenuti: «Non c’è nulla di meno scientifico di un simile approccio – commenta il professore –. Nella ricerca si procede per ipotesi, che sono valide fino a che non vengono smentite o superate da risultati successivi e diversi. Altro che “definitivi”: la realtà è che, intorno alla Sindone, noi continuiamo a sapere che cosa non è, ma sappiamo dire ben poco di ciò che la Sindone è, soprattutto per quanto riguarda la formazione dell’immagine».
Di Lazzaro fa riferimento a situazioni precise: nello specifico la ricerca condotta da Marco Riani, docente di statistica a Parma, che ha discusso con i membri della Commissione le sue ricerche. Lo studio di Riani ha analizzato i dati sulla ricerca pubblicati da Naturenel 1989 e ha scoperto che è impossibile far “quadrare” questi risultati con i dati quantitativi dei campioni consegnati ai laboratori di Tucson, Oxford e Zurigo. Viceversa, i dati statistici diventano perfettamente compatibili quando si considerano le datazioni di solo 3 dei 4 lembi consegnati ai laboratori. Sconcertante, no? Tanto da costringere, nel 2010 il professor Timothy Jull a mostrare per la prima volta la foto di uno dei “lembi” tagliati dalla Sindone nel 1988: un pezzo di tessuto che non era stato usato per l’analisi, diversamente da quanto sostenuto su Nature.
Per Di Lazzaro, come per gli altri studiosi che a Chambéry hanno ripreso i fili del discorso sulla ricerca, occorre ripartire dalle ricerche dello STuRP, il gruppo che nel 1978, al termine dell’ostensione, compì una serie di rilievi fotografici e analisi ottiche che rimangono fondamentali per introdurre ai temi della datazione e della formazione dell’immagine. Con le tecnologie di oggi le ricerche lungo quel filone potrebbero accrescere davvero la conoscenza del “testimone silenzioso”. Molto più di quanto non abbiano fatto, pare di intuire, i risultati della misura dell’età tramite Carbonio 14 effettuata nel 1988.