lunedì 26 novembre 2012
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Per la copertina della sua nuova Lettera pastorale, monsignor Marcello Semeraro ha scelto un quadro di Van Gogh. Il documento del vescovo di Albano, che è anche tra gli autori della miscellanea curata da monsignor Mauro Cozzoli, si chiama Io credo in Te e ha come tema l’Anno della fede.Allora, perché partire da un autore come Van Gogh?Perché penso che la situazione rappresentata in questo quadro, intitolato I primi passi, al di là delle intenzioni dello stesso autore, ci dà una visione giusta della fede. C’è un bimbo che compie i primi passi della sua vita. La madre, poggia il bimbo per terra e lo sostiene, senza trattenerlo. Il padre, al contrario, giunto dal lavoro dei campi, è accovacciato per mettersi all’altezza del figliolo e gli protende le braccia. Non ci è difficile immaginare il resto. Per tutti noi è accaduto qualcosa di simile. Il bambino si staccherà dalla madre e andrà verso il padre, che lo accoglierà. Probabilmente Van Gogh non pensava a questo, ma nella figura della madre ho voluto vedere la Chiesa, mentre in quella del papà ho scorto Dio Padre. Del resto nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre.Dunque la fede che cos’è? Un camminare?Sì, la fede è una «tensione», risponderebbe sant’Alberto Magno. Una ricerca incessante, ossia un cammino verso Dio. Credere è aprirsi e uscire da se stessi per andare verso Dio. È fidarsi di Lui e obbedirgli, rischiare un’avventura per mettersi in cammino verso le cose che non si vedono. Credere è stare alla sequela di Gesù, è assumere verso Dio un atteggiamento di accoglienza operosa, che gli consente di fare storia assieme a noi, al di là delle nostre stesse umane possibilità. E questa del resto è anche l’idea suggerita dallo stesso Anno della fede, che indica un procedere nel tempo, dunque, appunto, un camminare.Allora come vivere questo tempo?L’Anno della fede è un tempo quanto mai propizio per prendere o ri-prendere consapevolezza della nostra fede. Se la cultura contemporanea ha fatto di Dio, come ha detto il Papa, «il grande esiliato», i discepoli di Cristo, sempre per citare Benedetto XVI, «sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo?». In particolare dobbiamo sempre ricordare che la fede nasce da un incontro con Gesù e che all’origine del cristianesimo non c’è una dottrina o un’idea, ma un evento.Dove incontrare oggi Cristo, che per alcuni sembra essere diventato solo un personaggio, grande sì, ma del passato?Il Concilio Vaticano II, che con questo Anno delle fede è direttamente connesso, ci ricorda che gli spazi per l’incontro sono l’ascolto obbediente della Parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti. C’è infatti un carattere adorante della fede, che si manifesta in particolar modo nella liturgia. Lì noi entriamo in rapporto di contemporaneità con Cristo e siamo introdotti in una relazione dove il parlare di Cristo è trasformato nel parlare con Cristo. Ci si incontra direttamente con Lui. Dunque l’incontro con Dio durante il pellegrinaggio terreno è sempre mediato nella Chiesa e dalla Chiesa. E dall’incontro con gli altri. Infatti, nello stesso istante in cui l’uomo stabilisce con i suoi fratelli rapporti onesti, sinceri e leali egli si trova di fatto ad allacciare dei rapporti anche con Dio.Lei ha scritto un articolo sul tema «Ripensare la fede nel quadro ermeneutico del Concilio Vaticano II». Come può il magistero conciliare aiutare a vivere l’Anno della fede?Anche se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla in pratica ad ogni pagina, riconoscendone il valore vitale e soprannaturale. Dunque il Concilio presenta la fede come risposta totale dell’uomo. Credere è dire amen a Dio. Io spero e auspico che riscoprendo l’insegnamento del Concilio, le nostre comunità e i singoli credenti prendano coscienza che vivere la fede oggi è proprio dare questa risposta, affidando completamente la propria vita al Signore.
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