Saranno Kumari e Juvanna, la “figlia del miracolo” a portare a papa Francesco l’ostensorio con la reliquia del beato Giovanni Antonio Farina. Questo darà il via, domenica in piazza San Pietro a Roma, alla cerimonia di canonizzazione del vescovo vicentino, a cui Kumari, al nono mese di gravidanza, affetta da un’epatite B che non le avrebbe lasciato scampo, aveva chiesto la grazia di salvare la sua vita e quella della bimba in arrivo. Così, il segno di salvezza di Dio, grazie all’intercessione del Farina, ha raggiunto un villaggio di braccianti a giornata, nello stato dell’Andhra Pradesh. E non poteva essere che così per il “vescovo dei poveri”. Per ringraziare del dono arriveranno numerosi gli indiani in piazza San Pietro, e con loro pellegrini da tutti i Paesi dove le suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori (congregazione fondata dal Farina) sono presenti: Brasile, Colombia, Spagna, Ecuador, Messico, Polonia, Romania, Terra Santa, Ucraina, Costa d’Avorio. Oltre 4.500 persone, 35 pullman solo da Vicenza. «Se la canonizzazione del Farina ripete l’eccezionalità della santità, la vita cristiana si dispiega nel quotidiano, dove si consumano giorni tristi e felici, dove ci si spende nello studio e nel lavoro, dove si opera il bene – afferma Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza –. Per questo, affidiamo a san Giovanni Antonio la vita della nostra Chiesa di Vicenza e la fede di ciascuno di noi, perché ogni nostro giorno sia vissuto con la stessa passione e lo stesso amore. Anche quando la fatica ci chiede qualcosa in più». Viene così a compimento il sogno di suor Albarosa Ines Bassani, che da trent’anni, in qualità di storica e postulatrice prima e, oggi, di consultore della Congregazione delle cause dei Santi, studia, accompagna e sostiene l’iter che ha portato prima alla beatificazione e oggi alla canonizzazione del fondatore del suo Istituto. Era il 1981 quando una consorella ecuadoriana, suor Inés Torres Cordova guariva da un tumore maligno all’utero dopo aver appoggiato sul ventre alcuni capelli del Farina. È la spinta per decidere di promuovere la causa. Suor Albarosa viene nominata nella commissione storica e comincia lì la sua missione trentennale. I primi dieci anni sono dedicati esclusivamente alla ricerca archivistica, in 34 archivi, fra Italia, Austria e Vaticano. Lo scoglio più grosso è arginare le polemiche che hanno “compromesso” la figura del Farina, in particolare l’accusa di essere “austriacante” per aver accettato l’appoggio dell’Austria per la fondazione dell’istituto, in un’epoca in cui la sottomissione del Lombardo-Veneto all’Impero Austro-Ungarico era fortemente contestata.Sciolti i nodi, all’inchiesta diocesana la commissione storica arriva con 66 volumi, per l’equivalente di 20mila pagine, e una ventina di testimoni, ovviamente non persone che avevano vissuto con il prelato (era già morto da oltre un secolo), ma che avevano conosciuto chi aveva vissuto con lui. Ottenuto il beneplacito diocesano, la positio del Farina (si chiama così il “sunto”, in questo caso, 2.000 pagine, che ne ricostruisce la biografia e ne attesta la fama di santità, che dev’essere ininterrotta, dalla morte fino all’inizio del processo di beatificazione) vola a Roma, dove passa i tre esami dei consultori storici, dei teologi, e del Papa con il collegio cardinalizio. Nel 2001 il Farina viene proclamato beato. «Poi, per diventare santo – spiega suor Albarosa – serve la “firma di Dio”, ovvero qualcosa che è al di fuori delle possibilità umane, cioè serve il miracolo. Tra beato e santo c’è un salto teologico: per il primo c’è una proposta di culto limitata alla Chiesa locale; sei anche libero di non credere alla santità di quel personaggio. Per quanto riguarda il santo, invece, è il Papa che dichiara con sicurezza infallibile che il personaggio in questione è santo e ne estende il culto alla Chiesa universale, perciò, se non ci credi, hai un problema di coscienza».