Te la trovi davanti quando pensi che ormai il paese sia finito e che da lì in poi ricominci la campagna. Invece il profilo arrotondato delle colline toscane resta sullo sfondo, come una cornice. Mentre in primo piano si staglia un edificio dal tetto spiovente, che sembra una gigantesca riproduzione delle Tavole della Legge di Mosè. La chiesa di Santa Maria Nuova a Terranuova Bracciolini, paese di 8mila anime in provincia e diocesi di Arezzo, è una delle oltre 500 chiese costruite in 22 anni con il contributo dell’8xmille. Ma la sua è una vicenda particolare, o meglio è la storia di un dialogo ritrovato tra fede e cultura, tra committenza ecclesiastica e artisti del nostro tempo, proprio in una terra - la Toscana - che ha da sempre fatto scuola in questo campo.Perciò, per narrarla, si potrebbe cominciare con il classico «c’era una volta». In quanto l’edificio sacro progettato dall’architetto Mario Botta e impreziosito dalle opere di Sandro Chia, uno dei padri della transavanguardia, non nasce certo da un capriccio estemporaneo, ma risponde a una precisa esigenza della comunità locale.A Terranuova Bracciolini, infatti, c’erano una volta (e ci sono ancora) diverse altre chiese, perfettamente inserite nella scacchiera urbanistica disegnata dai fiorentini che fondarono il paese nel 1337. Soprattutto c’era (e c’è tuttora) la parrocchia di Santa Maria, affacciata sulla piazza centrale, di fronte al Comune. Ma queste chiese, pur essendo degli autentici scrigni di arte (in una di esse, San Biagio ai Mori, era custodito anche un dipinto della scuola di Guido Reni, oltre a pregevoli affreschi del XIV secolo), hanno in comune anche un problema non da poco per una comunità grande e vivace: le dimensioni ridotte. Quella parrocchiale, la meno piccola, al massimo della sua capienza può ospitare non più di 150 persone.Così il «c’era una volta» di Terranuova Bracciolini è diventato a poco a poco un «ci vorrebbe per il futuro». Ci vorrebbe in sostanza una nuova chiesa. E il primo a coltivare il sogno, diventato poi progetto e infine realtà che ha coinvolto tutto il paese, è stato il parroco, don Donato Buchicchio. Sua l’idea di rivolgersi a Botta. Sua soprattutto la capacità di essere un autentico trascinatore dei propri parrocchiani, anche nelle realizzazioni sulla carta più difficili. «Don Donato è il come il gas. Si espande in qualsiasi volume – scherza Marco Lapi, uno dei tecnici del Comune di Terranuova –. Ma a differenza del gas non è pericoloso. Anzi, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo».Così, di volume in volume, l’idea del sacerdote si è espansa negli uffici della Curia vescovile di Arezzo, per giungere fino a Lugano, nello studio di Botta. «Gli scrivemmo una lettera il 7 novembre del 2000 – racconta Stefano Mori, fino a poche settimane fa incaricato diocesano per l’edilizia di culto e attualmente membro del corrispondente Comitato nazionale della Cei –. L’architetto rispose: "Venite e parliamone". Così andammo. Poi fu lui a venire da noi per un primo sopralluogo e per tutto il resto».Tutto il resto sono i sette anni trascorsi fino alla posa della prima pietra, l’8 settembre del 2007. Più altri tre fino alla consacrazione avvenuta il 9 ottobre 2010. Costo totale, compresi gli arredi e la sistemazione del sagrato, 2 milioni e mezzo di euro, 848mila dei quali provenienti dall’8xmille. Ed è forse questa la parte più interessante della storia. In pratica il dialogo costante, serrato, costruttivo tra committenza e progettista. «Abbiamo capito fin dall’inizio – ricorda don Donato – che ci trovavamo davanti a un grande professionista. Ma la scoperta più bella è stato constatare la sua profonda umiltà. Tra il primo progetto presentato (una chiesa ipogea) e quello definitivo c’è una profonda differenza». «È la dimostrazione – aggiunge Mori – che quando si costruisce una chiesa gli architetti non vanno lasciati da soli. Parrocchia e diocesi devono essere in costante contatto con il progettista, far presente il proprio punto di vista, seguire la realizzazione e, dove è necessario, intervenire per proporre modifiche e miglioramenti».Nel caso di Santa Maria Nuova il dialogo ha funzionato. E anche se qualcuno arriccia il naso per la doppia abside che divide di fatto a metà il presbiterio togliendo un po’ di centralità all’altare, la chiesa di Mario Botta resta un esempio insigne di architettura contemporanea. Colpiscono soprattutto la particolare copertura in rame fortemente obliqua e il lucernario che fa piovere la luce dall’alto. Per il resto l’edificio è un concentrato del credo architettonico di Botta. Forme cilindriche ed ellittiche si affiancano all’impianto quasi rettangolare della base; uso del laterizio, il materiale che l’architetto svizzero ama maggiormente, e infine il grande arco centrale ora decorato da Chia. «Già vengono in tanti a visitarla – dice Anna Redditi Migliorini, membro del consiglio pastorale della parrocchia –. Sono certa che il tempo le darà la dignità di una vera opera d’arte».Quel che è certo, per intanto, è che la vita della comunità ne ha tratto un gran beneficio. «Vedo anche più gente a Messa», afferma il parroco. Intorno a Santa Maria Nuova gravitano infatti tantissime attività: l’oratorio con 500 ragazzi dalla prima elementare alla terza media, la scuola materna con 8 dipendenti, l’ostello con 24 camere e 70 posti letto, il gruppo giovani con un centinaio di presenze, il cinema e il teatro, oltre al restauro delle chiesette di Terranuova Bracciolini. «Don Donato non sta mai fermo e questa chiesa è il regalo più bello che ci abbia fatto. Ma ce ne aspettiamo altri», sostiene Cristiano Bonci, che con Tommaso Bazzini e Andrea Attili, è uno dei suoi collaboratori più stretti. Come dire che a Terranuova Bracciolini i «c’era una volta» si trasformano sempre in «ci sarà domani».