Firenze, convento di San Marco: san Tommaso d’Aquino con la “Summa Theologiae” in un affresco del Beato Angelico - .
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento che l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte svolgerà oggi nell’ambito della conferenza sul tema «San Tommaso d’Aquino: teologia, vita spirituale e ministero apostolico», prevista alle 17 nella Basilica di San Nicola a Bari, che è affidata ai padri domenicani. Di seguito il testo dell’arcivescovo Forte.
Come Tommaso d’Aquino ha unito teologia, vita spirituale e ministero apostolico? Per rispondere a questa domanda occorre anzitutto riflettere sull’uomo Tommaso, in particolare su alcune delle scelte che hanno qualificato la sua esistenza e il suo servizio alla Chiesa. La prima - decisiva per le sue conseguenze - è stata la scelta mendicante, vissuta tanto nell’aspetto della povertà, quanto in quello della piena disponibilità al cambiamento, a seconda dei compiti da assolvere. L’altra - non meno importante - è la scelta culturale, in forza della quale Tommaso si è consacrato a servire la causa del Vangelo con gli strumenti dell’intelligenza e della parola, scritta e parlata. Entrambe sono l’espressione della sua scelta fondamentale per Dio, vissuta nella sequela umile e convinta del Signore Gesù Cristo. La povertà appare agli occhi di Tommaso come la forma concreta del dono di sé al Signore fino alla fine: «Il Cristo è stato privato di ogni bene esteriore, fino alla nudità corporale… È questa povertà della croce che vogliono seguire coloro che abbracciano la povertà volontaria, specialmente coloro che rinunciano a ogni tornaconto…». Dietro queste parole si avverte l’amore profondo di Tommaso per il Signore Gesù, alimento del desiderio di unirsi a Lui e di imitarlo il più possibile: è la fede innamorata, sorgente di vita e di speranza, che motiva tutto l’essere e l’agire del Domenicano. L’altro aspetto della scelta mendicante è la piena disponibilità alla mobilità e al cambiamento: questa condizione di frequente itineranza porta Tommaso a conoscere i rivolgimenti culturali del suo tempo in maniera diretta, da Napoli a Parigi, a Orvieto, a Roma, e poi nuovamente a Parigi e a Napoli. La sua elaborazione teologica risente fortemente dell’influenza degli eventi storici, politici e culturali che andavano svolgendosi intorno a lui.
Col secolo XIII l’uomo nuovo della borghesia comunale, di ampi contatti e di orizzonti vasti, è ormai adulto: la nascita della città in senso moderno, vero crocevia di traffici e di scambi d’ogni genere, stimola lo sviluppo della dialettica come forma di ragionamento e di argomentazione. Essa riflette un mondo attraversato da relazioni molteplici, in cui la molteplicità degli stimoli induce gli spiriti all’impiego sempre più sistematico e sviluppato della quaestio. Essa vive della tensione del “sic et non”, e cioè di un’attenzione profonda e sincera agli interlocutori più diversi, anche a volte su posizioni opposte a quelle del Maestro. Tommaso recepisce in pieno la sfida di questo nuovo pensiero, ne fa anzi una scelta di vita: quella che si potrebbe chiamare la scelta per il dialogo con la cultura del tempo. Consapevole che in un mondo in profonda trasformazione non sarebbe più bastato indurre gli uomini a credere mediante argomenti di sola autorità, l’Aquinate mette la sua intelligenza e la sua fede al servizio dell’incontro fra il Vangelo e i nuovi orizzonti culturali. Giovanissimo lascia Montecassino, dove avrebbe potuto esercitare i metodi tradizionali di conoscenza della teologia monastica, basati sulla “lectio” e sulla “meditatio” orante delle Sacre Scritture e delle “auctoritates” riconosciute, per andare a formarsi nei nuovi luoghi del sapere, dove anche la fede andrà ormai pensata nel conflitto delle interpretazioni, e cioè nelle “scholae” legate alla vita urbana, di tipo universitario, dove la “sacra doctrina” è insegnata accanto ad altre scienze o arti, che la provocano e la inducono ad usare procedimenti simili ai loro.
Nasce in quest’epoca lo spirito laico, che tanto fortemente caratterizzerà l’evo moderno. Si dà per scontato il valore e la legittimità del conoscere per conoscere. Tommaso lo ammetterà nella linea del suo maestro, Alberto Magno, al punto da aprire la Summa Theologiae con la domanda, in altri tempi impensabile: «Utrum sit necessarium, praeter philosophicas disciplinas, aliam doctrinam haberi» (Summa Theologiae I q. 1 a. 1.). Quello che è messo in discussione non è la consistenza del pensare umano, espresso dalle discipline filosofiche: quello che deve essere giustificato e fondato è il processo di un altro pensiero, che sia dottrina dell’avvento divino. E non meno significativo è il fatto che Tommaso argomenti dialetticamente in rapporto da una parte ai tradizionalisti, che invocavano il principio “altiora ne quaesieris”; dall’altra, in rapporto agli innovatori, che tutto riconducevano all’orizzonte di quanto è afferrabile da parte della ricerca umana. La sfida che Tommaso raccoglie è quella di fondare il pensiero della fede in modo che siano rispettate contemporaneamente la dignità dell’umano, inquieto e problematico, e il primato di Dio: come sviluppare una teologia che, senza tradire l’obbedienza alla rivelazione, risponda alle esigenze dell’epistemologia aristotelica e possa perciò dirsi scienza? L’interrogativo riflette l’impatto della sensibilità spirituale e culturale dei tempi nuovi con la tradizione viva della fede. Tommaso non si rifugia in sterili chiusure: alimentandosi incessantemente alla Scrittura e ai Padri, la cui “lectio” è stata per lui assidua, egli assume la dialettica e la filosofia aristotelica senza tradire il dogma cristiano. Lo fa attraverso la teoria della “subalternanza”, in base alla quale alcune scienze sono riconosciute come subalternanti, tali cioè che dai loro principi dipendono altre scienze, dette appunto subalternate. Entrambe sono scienze a pieno titolo, regolate dal rigore della concatenazione e della deduzione, lo “scire per causas” dell’epistemologia aristotelica.
In questo quadro, la teologia è vista da Tommaso come scienza subalternata rispetto alla scienza di Dio e dei beati, comunicata agli uomini nella rivelazione: essa è perciò scientifica proprio nella misura in cui è totalmente in ascolto della Parola di Dio. In tal modo, il primato dell’avvento divino è affermato senza riserve, mentre senza riserve è operata anche l’assunzione dello statuto scientifico aristotelico. Sta qui la genialità di Tommaso: pienamente contemporaneo al suo tempo, egli è rimasto non di meno pienamente fedele al Mistero rivelato. La sua teologia è vera scienza agli occhi del nuovo pensiero di matrice aristotelica: scienza dell’avvento divino, costruita rilevando i rapporti di causalità, di prossimità e di differenza, fra il mondo del Dio veniente e il mondo degli uomini, in cui l’Eterno si rende presente. La soluzione è stupefacente, proprio perché logicamente impostata in quel sistema intellettuale aristotelico, che ben veniva a esprimere lo spirito del tempo, segnato ormai dalla rivoluzione culturale del XII secolo, che sembrava escludere la possibilità di ogni “sacra doctrina”. È un’età nuova quella che si affaccia, in cui coesistono inizialmente teologia sapienziale monastica e teologia scolastica, per lasciare poi il campo al trionfo di questa seconda, caratterizzata dalla ricerca delle cause e delle ragioni. È anzitutto in questa forte contemporaneità al suo tempo, vissuta senza compromettere la fedeltà all’avvento, che Tommaso resta maestro di pensiero per ogni stagione della fede. Alla sua scuola la teologia nasce nella storia aprendosi all’avvento del Dio vivo, che solo strappa la storia alla sua solitudine e all’imminenza finale nel nulla. Oggi come ieri, la teologia o è appesa alle parole e agli eventi dell’auto-comunicazione divina o, semplicemente, non è. Viverla così fra fedeltà alla storia e fedeltà all’Eterna, è seguire Tommaso come maestro attualissimo e fecondo.