Uno dopo l’altro, i presidenti delle Conferenze episcopali dell’Africa sfilano davanti al Papa, al quale rivolgono una parola, un saluto, la richiesta di una benedizione particolare, oppure semplicemente un «grazie». E con loro, nello «Stadio dell’amicizia», sfila in pratica tutta l’Africa, alla quale Benedetto XVI consegna l’Esortazione apostolica Africae munus e un compito nuovo, per alcuni versi addirittura sorprendente. Essere una guida, una luce – oltre che «un polmone spirituale», come l’ha più volte definita – anche per gli altri continenti. La Messa celebrata davanti a 80mila persone, che gremiscono il principale impianto sportivo di Cotonou e gli ampi parcheggi intorno agli spalti (i fedeli vengono anche da Niger, Burkina Faso, Nigeria e Togo), diventa così non tanto l’ultimo atto corale di un viaggio che ha ribaltato l’approccio al continente, quanto il primo passo di una nuova stagione di impegno della Chiesa in Africa, per l’Africa e dall’Africa. La cronaca della giornata, le parole e i gesti del Pontefice, l’entusiasmo della gente, che ha continuato anche domenica a seguirlo in ogni suo spostamento, lo dimostrano. Benedetto XVI non ignora certo i grandi problemi di questa grande porzione dell’umanità. Ma li legge alla luce del Vangelo. Quello del giorno, ad esempio, (domenica era la solennità di Cristo Re e il Vangelo parlava del giudizio universale basato sulle opere di carità corporale) si presta particolarmente a questa lettura. E infatti il Pontefice nell’omelia pronunciata in francese, inglese e portoghese annota: «Il giudice ultimo delle nostre vite ha voluto prendere il volto di quanti hanno fame e sete, degli stranieri, di quanti sono nudi, malati o prigionieri, insomma di tutte le persone che soffrono o sono messe da parte; il comportamento che noi abbiamo nei loro confronti sarà dunque considerato come il comportamento che abbiamo nei confronti di Gesù stesso». Perciò, sull’esempio del Re per cui «regnare è servire», papa Ratzinger invita ed «essere attenti al grido del povero, del debole, dell’emarginato». Il pensiero del Pontefice va soprattutto agli ammalati, «a quanti sono colpiti dall’Aids o da altre malattie, a tutti i dimenticati della società». «Abbiate coraggio – dice loro –. Il Papa vi è vicino nella preghiera e con il ricordo. Gesù ha voluto identificarsi con i piccoli, con i malati, ha voluto condividere la vostra sofferenza e riconoscere in voi dei fratelli e delle sorelle, per liberarli da ogni male, da ogni sofferenza. Ogni malato, ogni povero merita il nostro rispetto e il nostro amore, perché attraverso di lui Dio ci indica la via verso il cielo». L’omelia della Messa, così come tutto lo svolgimento della celebrazione (che ha i tratti tipici di una liturgia inculturata nella particolare sensibilità africana, canti e danze soprattutto, ma denota anche la grande capacità di fare silenzio al momento opportuno), sono un costante rimando all’esortazione apostolica. E infatti anche nel documento consegnato a presidenti delle 42 Conferenze episcopali africane (35 nazionali e 7 regionali) Aids, malattie, problema dei profughi, povertà e sottosviluppo trovano largo posto. Colpisce ad esempio la notazione che mette l’analfabetismo sullo stesso piano delle grandi pandemie. Ma il tono, più che della denuncia è quello di chi indica soluzioni e invita a far leva sulle forze degli stessi africani per superare i problemi. Anche sul fronte dell’evangelizzazione il Papa incoraggia i vescovi a suscitare vocazioni missionarie in risposta al grande dono ricevuto dai missionari di ieri e di oggi che hanno sparso e continuano a spargere la Buona Novella nelle diverse regioni del continente. Tuttavia, ricorda, «molti sono coloro la cui fede è debole, e la cui mentalità, le abitudini, il modo di vivere ignorano la realtà del Vangelo, pensando che la ricerca di un benessere egoista, del guadagno facile o del potere sia lo scopo ultimo della vita umana». Verso di loro, dunque, bisogna «essere testimoni della fede ricevuta». Anche perché «l’evangelizzazione presuppone e comporta anche la riconciliazione, e promuove la pace e la giustizia». Che poi sono i temi essenziali del Sinodo celebrato due anni fa e i cui risultati sono oggi nell’esortazione <+corsivo_bandiera>Africae munus<+tondo_bandiera>. All’Angelus, poi, il Papa mette l’accento sulla famiglia. «Continuate a coltivare i valori familiari cristiani – esorta –. Mentre tante famiglie sono divise, esiliate, funestate da conflitti senza fine, siate gli artefici della riconciliazione e della speranza». E infine, nella cerimonia di congedo all’aeroporto intitolato al cardinale Bernardin Gantin, arriva la formulazione più esplicita e insieme riassuntiva di quel <+corsivo_bandiera>munus<+tondo_bandiera>, cioè del compito dell’Africa, che Benedetto XVI ha indicato con il suo viaggio e con il suo documento. «Perché un Paese africano – si chiede infatti il Pontefice – non potrebbe indicare al resto del mondo la strada da prendere per vivere una fraternità autentica nella giustizia fondandosi sulla grandezza della famiglia e del lavoro?». «Desidero perciò incoraggiare l’intero Continente ad essere sempre di più sale della terra e luce del mondo – dice davanti al presidente beninese, Thomas Boni Yayi, che nei tre giorni della visita lo ha accompagnato in molti appuntamenti –. Ho l’intima convinzione che questa sia una terra di speranza. Autentici valori, capaci di ammaestrare il mondo, si trovano qui e non chiedono che di sbocciare con l’aiuto di Dio e la determinazione degli africani». Compito certamente grande e impegnativo. Ma non una missione impossibile.