La figura di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo barbaramente ucciso al momento dell’offertorio, mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980, è stata ricordata ieri sera dalla Comunità di Sant’Egidio con una Messa presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe. Una celebrazione che si è tenuta alla vigilia dell’anniversario di oggi, in occasione del quale verrà celebrata in Italia, come di consueto, la Giornata dei missionari martiri. La liturgia si è svolta a Roma in una Basilica di Santa Maria in Trastevere colma di fedeli. Con loro anche gli ambasciatori presso la Santa Sede di Stati Uniti, Panama, Uruguay e Cipro.Nell’omelia il cardinale di Napoli ha tratteggiato il profilo umano e spirituale dell’arcivescovo di San Salvador trucidato trent’anni fa, che «resta uno dei grandi testimoni cristiani del Novecento». E lo ha fatto ricordando le parole che Giovanni Paolo II pronunciò subito dopo la sua morte: «Lo hanno ucciso proprio nel momento più sacro, durante l’atto più alto e più divino... È stato assassinato un vescovo della Chiesa di Dio mentre esercitava la propria missione santificatrice offrendo l’Eucarestia». Parole ripetute «quasi alla lettera» nel 2000, quando – ha voluto ricordare Sepe – durante il Grande Giubileo ci fu «l’intervento personale del Papa» per inserire, «dopo una singolare assenza» il nome di Romero nel testo della «Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX». Sepe ha sottolineato poi «il cambio di programma» di Wojtyla nella sua visita in El Salvador nel 1983 «quando volle recarsi immediatamente sulla tomba dell’arcivescovo».«Romero – ha esclamato il porporato – ha amato Gesù più della sua stessa vita. E lo ha seguito mettendosi totalmente al servizio della Chiesa e dei poveri, come il buon pastore. Negli ultimi mesi – ha aggiunto Sepe – mentre sentiva stringersi attorno le minacce di morte, ripeteva: "Il pastore non cerca la sua sicurezza, ma quella del suo gregge". E ancora: "Il dovere mi obbliga a camminare con il mio popolo, non sarebbe giusto mostrare paura. Se devo morire, morirò secondo la volontà di Dio". Da grande cristiano – ha continuato il cardinale – Romero credeva però che il mondo iniziava a cambiare partendo da se stessi, cambiando il proprio cuore. E questa è una convinzione comune a tutti i grandi uomini spirituali».Citando alcuni brani di Romero, Sepe ha ricordato l’episodio dell’uccisione del gesuita Rutilio Grande, «suo amico carissimo, che aveva scelto di vivere tra i più poveri». L’arcivescovo del Salvador – ha ricordato il cardinale – «rimase l’intera notte a pregare accanto al corpo del gesuita. Disse a un amico che aveva compreso che quei poveri, con i quali padre Rutilio viveva, erano rimasti "orfani" del loro padre e del loro più strenuo difensore». «Fu in quelle ore – continua il racconto di Romero riportato da Sepe – davanti alle spoglie dell’eroico padre gesuita, immolatosi per i poveri, che io capii che ora toccava a me prenderne il posto». Ecco così che Romero «divenne il "pater pauperum" e immediatamente anche il "defensor pauperum"», «l’unica voce che parlava in loro difesa». Sostenendo che «l’amore per i poveri avrebbe aiutato a superare anche le divisioni intraecclesiali».Dopo aver ribadito che «l’amore evangelico» era il cuore della sua predicazione, Sepe ha ribadito che Romero «per questo rifiutava con decisione ogni violenza, da qualunque parte essa venisse». Nel finale dell’omelia Sepe ha ricordato la figura di William Quijano, un giovane membro della Comunità di Sant’Egidio del Salvador che «avendo preso sul serio la testimonianza di Romero», è stato ucciso dall’«invidia» di chi non sopportava il suo impegno nel salvare i bambini e i giovani dalla violenza nel quartiere periferico di Apopa.Alla celebrazione ha partecipato anche il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi. E ha concelebrato monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, e postulatore della causa di beatificazione di Romero.