Giovani musulmani in preghiera a Jos, in Nigeria - Rowlandzy
Due domande sono rimaste sempre le stesse, invariate nell’arco di quindici anni di sondaggi: «Quanto è importante la religione nella tua vita?» e «quanto spesso preghi?». Sono state inserite tra i quesiti rivolti a decine di migliaia di intervistati in tutto il pianeta, in diverse indagini realizzate su base macro-regionale tra il 2008 e il 2023 dal Pew Research Center, autorevole istituto di ricerca di Washington. L’ultimo rilevamento della lunga serie risale a un anno fa, con diecimila persone interpellate in Asia orientale e Vietnam. Prima ancora, altri studi avevano coinvolto trentamila partecipanti in India, e decine di migliaia in Africa, Europa, America Latina e Nord America. Ad ogni occasione, oltre a declinare le interviste secondo le specifiche tradizioni religiose locali, i sondaggi contenevano quesiti sull’importanza della religione nella quotidianità e sulla frequenza dei momenti di preghiera. «Naturalmente, esistono dimensioni della spiritualità che le due domande del sondaggio non rilevano», ha ammesso Jonathan Evans, ricercatore senior dell’istituto, il 9 agosto quando il Pew Research Center ha diffuso l’elaborazione finale delle risposte. Eppure la vastità del campo di raccolta dei dati – 102 Paesi e territori – consegna un quadro affascinante sulla vita spirituale delle diverse popolazioni.
Tra i più propensi al mondo a dichiarare che la religione è «molto importante nelle loro vite» ci sono i cittadini dell’Africa subsahariana. Almeno il 90% dei partecipanti lo ha affermato in Senegal, Mali, Tanzania, Guinea-Bissau, Ruanda e Zambia. Fra le prime venti posizioni della classifica con le percentuali nazionali più elevate compaiono tredici Paesi africani subsahariani (ma al primo posto, con il 98% degli intervistati, c’è l’Indonesia). Al contrario, sul fondo della graduatoria, con tassi molto bassi, alcuni Paesi europei: solo il 10% o meno degli adulti di Estonia, Repubblica Ceca, Danimarca, Svizzera, Regno Unito, Svezia, Lettonia e Finlandia assegna «molta importanza» agli aspetti religiosi. In Italia si è poco oltre il 20%, mentre percentuali più alte si riscontrano in Grecia (55%), Romania (49%), Croazia (42%), Portogallo (36%) e Polonia (29%).
Riservare un momento alla preghiera quotidiana è, secondo l’indagine, una pratica abbastanza comune a tutte le latitudini. Fanno eccezione Asia orientale ed Europa. Nella parte alta della graduatoria compilata dal Pew Research Center, si trova una quarantina di Paesi (sui 102 totali) in cui almeno il 60% o più degli intervistati riferisce di raccogliersi in preghiera ogni giorno. Di questi, quasi la metà appartiene all’Africa subsahariana, dodici sono in America Latina, sei in Asia (ma non Orientale), cinque in Nord Africa e Medio Oriente. Al primo posto, con il 95% di persone che dichiarano di pregare quotidianamente, c’è di nuovo l’Indonesia, seguita da Nigeria, Senegal, Iraq e Niger. Negli Stati Uniti circa il 45% degli americani afferma di pregare ogni giorno. I primi Paesi dell’Unione Europea che si incontrano scorrendo le varie posizioni sono Romania, Croazia e Portogallo, con percentuali attorno al 40%. L’Italia, settantaseiesima nella graduatoria, presenta un risultato di nuovo poco sopra il 20%. Ultimi in classifica, Regno Unito, Svizzera, Austria, Germania, con meno di un intervistato su dieci che prega quotidianamente.
Gli analisti dell’istituto sono consapevoli di limiti e difetti degli strumenti di ricerca utilizzati: «Chiedere conto alle persone dell’importanza che riservano alla religione e della frequenza con cui pregano può fornire un sguardo rilevante sulla loro religiosità, ma queste domande funzionano meglio in alcuni luoghi piuttosto che in altri» spiega Evans. «Possono essere preziose nei Paesi in cui predominano le religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e islam), perché preghiera e organizzazioni religiose formali sono centrali per queste tradizioni. In altre parti del mondo dobbiamo porre interrogativi aggiuntivi per catturare aspetti chiave dell’osservanza religiosa o spirituale». Un esempio è offerto dall’ultimo studio in Asia orientale. «Il sondaggio ha rilevato che se pochi asiatici orientali considerano la religione rilevante nelle loro vite o pregano quotidianamente, un gran numero di persone ha però credenze religiose o spirituali e si impegna in rituali tradizionali. Ad esempio, per onorare gli antenati». Altre indagini hanno rilevato, poi, come altrove esista un’aderenza diffusa a scelte alimentari che sono legate alla religione. Si punta, per il futuro, a un nuovo approccio: «Ci consentirà di porre ovunque domande che erano state originariamente concepite per una regione specifica. Ad esempio, negli Stati Uniti abbiamo scoperto che il 48% degli adulti crede che montagne, fiumi o alberi possano avere energie spirituali, una percentuale simile a quelle di Giappone e Vietnam» aggiunge il ricercatore, che conclude: «Utilizzare misurazioni provenienti da culture e tradizioni religiose diverse ci aiuterà ad andare in direzione di una comprensione più ricca della vita spirituale delle persone».
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