venerdì 26 febbraio 2010
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Per molti è solo una nota etichetta di acqua minerale. Gli appassionati di ciclismo potrebbero associarlo anche a un passo dei tapponi dolomitici. San Pellegrino suona ai più al massimo come un santo con il nome in testa. Ma la situazione è molto più complicata, tra martiri, vescovi e viandanti che si scambiano di posto, tradizioni riscritte, aggiornate o inventate, reliquie contese. Dipana la matassa e contemporaneamente disegna una rete di culti disposta lungo soprattutto gli itinerari di pellegrinaggio e di transumanza il volume San Pellegrino tra mito e storia curato da Adelaide Trezzini, presidente dell’Association International Via Francigena, con una introduzione di Franco Cardini (Gangemi).I santi riconosciuti dalla Chiesa con questo nome sono pochi: il martire romano, ucciso nel 192 insieme a Eusebio, Ponziano e Vincenzo, o il «Peregrinus» primo vescovo di Auxerre (anche se le ricerche, pur riconoscendogli verità storica, tendono a negarne il ruolo) e martire nel 304. Nessuno di loro, insomma, ha mai preso bordone e scarsella e si è incamminato verso Roma o Gerusalemme. Il loro culto, specie del secondo grazie probabilmente agli evangelizzatori provenienti dal nord e all’invasione franca, ha goduto però di una notevole diffusione fin dai primi secoli. Il consolidarsi della via Francigena ha fatto il resto. I culti e le leggende locali mescolano e confondono i tratti identificativi dei santi antichi e li moltiplicano in una selva di possibilità, resa più intricata dalla sovrapposizione tra nomen e omen. Più che di diversi san Pellegrino si dovrebbe parlare di santi pellegrini. Molti dei centri pellegriniani nascono infatti sulle tombe di anonimi viandanti divenuti eremiti o morti di stenti e di malattia lungo il cammino. L’aura di santità chiama devoti e fedeli alle cappelle sorte sulle sepolture miracolose, poste sul ciglio delle vie che portano a Roma. E il «peregrinus», termine che indicava semplicemente lo sconosciuto (etimologicamente significa «straniero»), passa presto alla P maiuscola.Sant’Alessio e san Rocco sono dunque i portabandiera, dotati questi sì di identità, di uno stuolo di santi in tutta Italia, come i vari Geroldo, Gerardo, Contardo, Gerio, Gallo, Enrico (i nomi rivelano la provenienza nord europea), divenuti tali talvolta per le circostanze del viaggio. Ma se questi godono di un culto locale, Pellegrino, in virtù di quel nome collettivo, diventa titolare privilegiato di ospizi e santuari in luoghi nevralgici su tutto il territorio nazionale.Roma tra l’VIII e il IX secolo, quando la tradizione del pellegrinaggio si fa sempre più solida, gioca un ruolo fondamentale. Tra gli hospitia che si diffondo nell’Urbe, spesso divisi per nazioni di provenienza, si segnala quello di San Pellegino in Naumachia, piazzato proprio agli ultimi metri della via Francigena, appena fuori dalla porta Viridaria (la chiesa è oggi poco oltre i cancelli di porta Sant’Anna). Il titolo segna la fortuna del santo di Auxerre, a cui è dedicato, determinandone il destino a dispetto della sua figura, non dissimile dai tanti evangelizzatori martirizzati nei primi secoli del cristianesimo. Le fondazioni pellegriniane si moltiplicano, fino a divenire nel tempo a loro volta mete di pellegrinaggio. Come nel caso di San Pellegrino in Alpe, in Garfagnana, sganciatosi ben presto dall’apostolo della Borgogna per strutturarsi attorno a un santo «autoctono»: Pellegrino, figlio di Romano re di Scozia, fattosi eremita sui monti tra Lucca e Modena. Il complesso ospedaliero sorge in posizione strategica sul valico appenninico che mette in comunicazione Toscana e Italia settentrionale ed era gestito da un ordine proprio. Due chiese dedicate al santo a Reggio Emilia e Lucca custodivano gli estremi del percorso. L’elaborazione di una particolareggiata tradizione agiografica diede solidità statutaria all’ospizio, uno dei più importanti e ricchi della Francigena, a cui Alessandro IV aveva concesso un’indulgenza «così grande – recita un documento del 1346 – come quello di S. Francesco a Sisi». Il ritrovamento nel XV secolo di due corpi, identificati in Pellegrino Scoto e nel suo più nebuloso compagno Bianco, diede il via alla trasformazione dell’ospedale in un santuario. Vista la collocazione di confine, per non far torto a nessuno i due santi sono distesi, divisi equamente alla cintola, tra Emilia e Toscana.
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