Se si facesse una statistica delle parole più adoperate da
Papa Francesco, non sarebbe improbabile trovare ai primissimi posti il termine “pace”, secondo forse solo a “misericordia”. Il primo giorno del viaggio nella Corea del Sud ne ha fornito una conferma empirica, dato che il tema della pace – tra il Nord e il sud della Penisola; nell’Estremo Oriente dominato dal gigante cinese; nel mondo intero che non può non risentire degli equilibri spesso precari di
questa regione – è stato al centro dei diversi momenti della visita.
In
particolare ne hanno parlato il Papa e la presidente Park, sia nel colloquio
privato, sia nei discorsi pubblici e l’accento è andato inevitabilmente sulla
riunificazione delle due Coree, alla quale la padrona di casa ha detto di
essere pronta insieme con i suoi connazionali. Francesco ha risposto esprimendo
l’apprezzamento per tutti gli sforzi di riconciliazione (non ha usato il
vocabolo riunificazione per ovvi motivi) che è alla base di una “pace duratura”.
E ha allargato l’orizzonte sottolineando che la pace nell’area è premessa per
la pace in altri e più complessivi scenari.
Dall’inizio del suo pontificato - e specialmente in questi
giorni in cui il mondo assiste inerme a un tentativo di genocidio - il Papa
parla di pace e chiede di pregare per la pace. La Chiesa italiana – su
iniziativa della Cei – lo farà in questo 15 agosto con un occhio particolare
alla situazione di martirio dei cattolici iracheni. Ma la preghiera non conosce
certo i confini geografici o continentali. Così la nuova iniziativa si aggiunge
a quelle precedenti (non è superfluo ricordare la preghiera per la Siria dello
scorso anno) e contribuisce a fare di quello di Francesco un pontificato sotto
il segno della pace.
Ciò che poi per il Papa questa invocazione a Dio, vera pace,
significhi lo ha spiegato proprio a Seul. “Abbattere i muri della diffidenza e
dell’odio, promuovere una cultura di riconciliazione e di solidarietà”. Avere
atteggiamenti di “dialogo e di ascolto attento e discreto, piuttosto che reciproche recriminazioni, critiche inutili e dimostrazioni di forza”. In sostanza pace “non è semplice assenza di guerra”, ma “superare le ingiustizie del passato
attraverso il perdono, la tolleranza e la cooperazione”. E a costruire la pace
può servire anche un semplice telegramma al presidente cinese, come quello
inviato dal Pontefice per il sorvolo dello spazio aereo della Cina. E’ la prima
volta che accade. Magari innescherà un processo virtuoso.
Ecco, quando Francesco parla di pace, mette in gioco tutta
la forza del messaggio cristiano. E i grandi del mondo non possono far finta di
non aver sentito.