Acqua che sgorga, goccia a goccia. Cielo plumbeo che accarezza i tetti dei palazzi. Terre coltivate e alberi che svettano verso l’alto. Poi la scritta: «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti». Si apre con le immagini del pianeta, con le sue risorse e le sue ferite, il seminario sull’enciclica
Laudato si’ e la Conferenza sul clima di Parigi promosso dalla Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). La sede è quella dell’Istituto Patristico Augustinianum a Roma. «Non possiamo chiudere gli occhi e smettere di richiamare l’attenzione dei responsabili politici, delle persone che hanno una qualche influenza nella vita economica ed industriale e di tutti coloro che usufruiscono dei beni che la natura offre... perché non sia mai sopita la coscienza del bene comune », ha scandito il cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee. La Chiesa «non cessa di alzare la sua voce in difesa di quelli che sono dimenticati». Tanto più, ha osservato, in un mondo «centrato sull’economia e sull’alta finanza, che riduce l’idea di sviluppo alle scoperte scientifiche o ai nuovi dispositivi tecnologici », dimenticando spesso «lo sviluppo integrale di cui parlava già papa Benedetto XVI» e lasciando ai margini i poveri che «come ricorda papa Francesco, sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone». Occorre «cambiare il paradigma del progresso e dello sviluppo, il modo di gestire l’economia e i nostri stili di vita», ha aggiunto il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Del resto, ha rilevato Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente della Commissione “Caritas in veritate”, «la cura della casa comune richiede sapienza, ha bisogno di mettere insieme, con prudenza, la scienza e la tecnica, l’economia e la produzione ». Cioè quegli «elementi umani e naturali, spirituali e materiali» che papa Francesco ha sintetizzato nell’espressione «ecologia integrale», dove integrale, ha spiegato Crepaldi, «vuol dire che riguarda tutta la persona e tutte le persone e non solo la salvaguardia degli equilibri naturali, che o c’è dappertutto o non c’è da nessuna parte». «Quando ci rapportiamo con le cose, ci rapportiamo anche con gli altri uomini e con il Creatore », ha ricordato l’arcivescovo evidenziando che «nasce qui una spiritualità ecologica che non ha nulla a che fare con le attuali tendenze new age, sincretistiche o del nuovo consumismo ecologicamente sostenibile». «La sostenibilità di cui parla la
Laudato si’ – ha chiarito – è una sostenibilità ecologica, umana e cristiana». Che impegna tutti, chiamati «a essere strumenti della salvaguardia della creazione», ha detto Volodymyr Sheremeta, direttore dell’Ufficio per le questioni ambientali della Chiesa grecocattolica ucraina. È tempo dunque di agire. Un primo passo è stato compiuto con l’accordo di Parigi, in cui «l’appello di papa Francesco a considerare che tutto è collegato trova un’eco notevole, in particolare attraverso il suo carattere universale e il riconoscimento delle diverse responsabilità», ha fatto notare Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre. Sebbene rimanga «assente il nuovo concetto di progresso che il Papa chiede di sviluppare», l’accordo «ha invertito la tendenza e ha contribuito ad uscire dall’immobilismo al quale aveva portato la difesa degli interessi particolari».
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