«Se i governi realizzano quella che è chiamata “la ragion di Stato”, esercitando un
hard power attraverso la potenza economica finanziaria e le armi, la Santa Sede ha da portare a compimento una “ragion di Chiesa”, mediante un
soft power fatto di convinzioni e comportamenti esemplari. Essa deve lavorare, anche mediante l’azione diplomatica, per creare più giustizia, prima condizione della pace». In una serrata quanto sostanziosa
lectio magistralis alla Facoltà teologica del Triveneto a Padova sul tema "Papa Francesco". Visione e teologia di un mondo aperto, il cardinale Segretario di Stato Parolin compendia ed espone con analitica chiarezza in 31 pagine i punti cardine della visione ecclesiale ed ecclesiologia del Papa, facendo proprio lo sguardo di una Chiesa che non si concepisce come universo parallelo rinchiuso nella propria dimensione e contrapposto al mondo. Ma ribadisce che la Chiesa è chiamata a camminare nel e con l’oggi di un mondo fatto di molteplici identità, scrutando i segni dei tempi e guardando le grandi questioni della globalizzazione, che continua a creare esclusioni e preclusioni con una coscienza di «identità aperta che non innalza muri». Una coscienza che rifiuta la guerra fomentata da «interessi, piani geopolitica, avidità di denaro e potere, industria delle armi» e pone in rilievo l’immagine di «famiglia umana» nella comunanza di destino che unisce tutti i popoli e tutte le nazioni. Una coscienza che ribadisce il primato realistico della solidarietà e della fraternità «perché la vita sul pianeta non può semplicemente ruotare intorno a modelli di sviluppo più dinamici che per la loro natura sono ritenuti efficienti in una logica di potere da cui discende l’emarginazione dei più deboli e di quanti non sono in grado di rispondere alle aspettative del modello». Una coscienza, ancora, che mette in organigramma l’urgenza del dialogo a tutti i livelli e a maggior ragione «in situazioni di conflitto» «perché la strada maestra per risolvere le problematiche aperte è quella diplomatica del dialogo». «Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo». È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza da
papa Benedetto XV allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere “la forza morale” del diritto su quella materiale delle armi», ha affermato Parolin, riprendendo il discorso di Francesco al Corpo diplomatico del 12 gennaio 2014 e dunque anche la necessità vitale del dialogo interreligioso. Anzi, questo è fondamentale, «è il primo contributo diretto della Chiesa alla causa della pace», afferma Parolin. E chiaramente dice: «oggi questo sforzo per la promozione dei diritti e dei doveri di tutte le regioni deve essere compiuto anche in situazioni molto critiche, in particolare nelle situazioni di conflitto in cui le cause vengono attribuite al fattore religioso anche se esso è presente il più delle volte solo nominalmente». I muri sembrano quasi voler affermare che il dialogo è impossibile, che le differenze di credo sono incompatibili, dimenticando che una condizione di pace e il rispetto della vita sono elementi fondamentali per garantire una convivenza rispettosa della dignità di ogni persona, della sicurezza dei diversi popoli e dello statuto di ogni religione. E se nei fondamentalismi - siano essi culturali, religiosi, o teologici -esiste un pericolo grave per l’ordine pubblico perché produce violenze, «tocca alle religioni interrogarsi e partecipare alla costruzione della pace», ribadisce il Segretario di Stato. È quanto specificava il Papa in Turchia: «Per raggiungere una meta tanto alta e urgente, un contributo importante può venire dal dialogo interrelgioso e interculturale, così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo, che umilia gravemente la dignità di tutti gli uomini e strumentalizza la religione».