venerdì 10 febbraio 2012
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Ferruccio Parazzoli lo ripete da tempo: «In un giallo che si rispetti il personaggio più interessante non è l’assassino, ma la vittima». La regola vale anche per la storia di Cristo, che lo stesso Parazzoli ha già indagato in diversi libri, da Indagine sulla Crocifissione al romanzo La camera alta , fino alla Vita di Gesù che, nel 1999, ha segnato per lui un punto di non ritorno. «L’avevo scritto perché le altre Vite in circolazione, sia pure molto autorevoli, non mi soddisfacevano. Ma da allora basta, mi sono ripromesso di non tentare più un’impresa del genere».Scrittore appassionato ed esperto riconosciuto delle dinamiche editoriali, Parazzoli è atteso questa mattina alle 10,15 presso la Sala Coro dell’Auditorium Conciliazione di Roma per il dibattito su “Gesù nella letteratura contemporanea” al quale prenderanno parte il narratore Franco Scaglia e il poeta Marco Beck, sotto la moderazione di padre Ferdinando Castelli.Sicuro di non cascarci più, Parazzoli?«Sicurissimo. Anche se...»Sì?«Beh, se mai dovessi scrivere di nuovo qualcosa su Gesù, seguirei un’intuizione di Albert Schweitzer: partirei dalla fine, dall’immagine dell’uomo appeso alla Croce. Mi domanderei chi è, chi lo ha condannato, per quale motivo. Racconterei tutto a ritroso, mettendomi nella prospettiva di quel fallimento che, dal punto di vista umano, appare inevitabile: il mondo non poteva non uccidere Gesù, perché solo la sua morte sembrava tutelare i disperati interessi di sopravvivenza del mondo stesso».Ma come calare questa visione in una letteratura che, come lei stesso ha più volte denunciato, è oggi del tutto “orizzontale”?«Facendo leva sull’eccezione che, anche in questo, la figura di Gesù esprime. È vero, gli scrittori sono sempre meno capaci di accedere alla dimensione verticale del sacro. Non per questo, però, rinunciano a confrontarsi con Cristo. Non sono uno storico della letteratura, ma secondo un mio inventario personale, senz’altro lacunoso, sono almeno duecento gli autori che, da Dostoevskij in poi, si sono cimentati nel raccontare la vicenda di Gesù. Con intenti e risultati fortemente contrastanti, che vanno dal romanzo devozionale alla parodia dissacrante. Davanti al Figlio dell’Uomo, però, non si resta indifferenti. È così fin dalle prime pagine del Vangelo, quando con il suo apparire Gesù ruba la scena al Dio inaccessibile dell’Antico Testamento. Da quel momento inizia una dinamica di incontro e scontro con Cristo di cui ciascun autore testimonia un particolare aspetto».Come si è regolato, quando è toccato a lei?«Mi sono deciso a scrivere la Vita di Gesù dopo un viaggio in Terrasanta e forse per questo ho voluto raffigurare Cristo come un uomo sempre in cammino, che non si stanca di annunciare il Regno e, intanto, si avvia verso la sconfitta».Torniamo alla Crocifissione.«Al processo, prima ancora. E quindi agli interrogativi che la giustizia umana continua a porre. Secondo quale criterio si assolve o si condanna? Come riconoscere l’innocente dal colpevole? In definitiva l’unico vero scandalo è quello della vittima che, nel momento in cui sembra essere annichilita dai persecutori, trionfa su di loro. Secondo me è questo l’elemento originario, che rende tanto urgente il confronto con Gesù».Sta dicendo che gli scrittori continueranno a sorprenderci?«Credo di sì, ma l’aspettativa è molto più ampia, non riguarda esclusivamente la letteratura. Vicino a casa mia, a Milano, c’è un cartellone che annuncia: “Gesù sta tornando”. Non penso sia opera di un romanziere, però è significativo lo stesso, non trova?»
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