sabato 23 aprile 2011
Tra i cirenei che si sono alternati lungo la via dolorosa, un ammalato, una famiglia di emigranti dall’Etiopia, due frati di Terra Santa. A portare la croce nella prima e nell’ultima stazione il cardinale vicario Vallini.
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«Guardiamo bene a quell’Uomo crocifisso». Uno «sguardo più profondo», in modo da poter vedere che «la croce non è segno di morte, ma è il segno luminoso dell’amore, della vastità dell’amore di Dio». Un Dio che «si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nel buio della nostra vita fino a tenderci la mano». È un’esortazione forte e profonda quella che Benedetto XVI lancia poco prima di concludere la Via Crucis al Colosseo con la benedizione apostolica. Una Via Crucis che il Papa segue mentre la croce si muove tra due ali di folla, come un cuore che palpita. Prega, come le migliaia di fedeli presenti, lungo il percorso del legno simbolo non più di morte, ma di salvezza. Ascolta i brani dei Vangeli che scandiscono le 14 stazioni e le altrettante meditazioni scritte quest’anno dalla religiosa agostiniana, suor Maria Rita Piccione e lette dall’attrice Piera Degli Esposti e dallo speaker della Radio Vaticana Orazio Coclite, mentre le stazioni vengono annunciate alternativamente da due fratellini, Diletta e Michele, rispettivamente di 10 e 12 anni. «Fissiamo lo sguardo su Gesù crocifisso» esorta ancora il Papa nel suo discorso. E chiede al Signore che «illumini il nostro cuore » per poterlo seguire sul cammino della croce. «Rendici uomini nuovi, uomini e donne santi» chiede ancora Benedetto XVI, «trasformati, animati dal tuo amore».Il cuore del mondo, per una sera, è qui tra le pietre dell’antica Roma. Cuore umano che, come scrive suor Maria Rita, «spesso guarda in basso, tutto preso dalla contabilità del proprio benessere». Cuore che «resta cieco alla mano del povero e dell’indifeso» e che «tutt’al più si commuove, ma non si muove». E, per contro, cuore divino che viene in soccorso dell’uomo e trasforma persino le cadute «in gradini della scala per salire» fino a Dio.Così, l’itinerario doloroso diventa un modo per riflettere sulla condizione umana e sul destino eterno che attende ogni uomo ed ogni donna. Sono decine di migliaia a seguire sul posto il succedersi delle 14 stazioni e ad ascoltare alla fine la riflessione di Benedetto XVI. Tutti gli occhi fissi su quella croce che passa di mano in mano, portata da alcuni "cirenei" contemporanei. Apre la singolare staffetta della fede il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini (che riprenderà la croce alla XIV e conclusiva stazione), seguito da una una famiglia della diocesi di Roma, papà Armando e mamma Anna Stridacchio, con i loro cinque figli, tra i quali due coppie di gemelli. Quindi un ammalato, Alberto Iossa, accompagnato da due membri dell’Unitalsi, due monache agostiniane, suor Maria Giuliana d’Agostini e suor Clara Maria Cesaro, due frati di Terra Santa, padre Antonio Szlhkta e padre Bruno Varriano. Infine una famiglia proveniente dall’Etiopia, Eman e Hiwet Hailesilassie con i loro due figli, un francescano egiziano Dassim Sidaros e una ragazza pure nativa del Paese nordafricano, Samira Sidaros. Provenienze che parlano di sofferenza e di speranza, di croce e risurrezione, appunto.Il sottofondo sonoro delle meditazioni sottolineano proprio questa tensione salvifica. Quarta stazione, Gesù incontra la madre. «Quando le avversità e le ingiustizie della vita, il dolore innocente e la truce violenza ci fanno inveire contro di te, tu ci inviti a stare, come tua Madre ai piedi della croce». Quinta stazione, proprio quella del cireneo. «Quando la vita ci porge un calice amaro e difficile da bere, la nostra natura si chiude, recalcitra, non osa lasciarsi attirare dalla follia di quell’amore più grande che rende la rinuncia gioia, l’obbedienza libertà, il sacrificio dilatazione del cuore». Ecco allora l’invocazione alla Spirito, affinché ci renda «obbedienti alla visita della croce». Ottava stazione, Gesù incontra le donne di Gerusalemme. «Nel tuo Corpo sofferente e maltrattato, screditato e irriso, non sappiamo riconoscere le ferite delle nostre infedeltà e delle nostre ambizioni, dei nostri tradimenti e delle nostre ribellioni. Sono ferite che gemono e invocano il balsamo della nostra conversione, mentre noi oggi non sappiamo più piangere per i nostri peccati». Infine la riflessione del Papa, che si proietta oltre il sepolcro per pregustare già la luce della Risurrezione.
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