Nell'ultimo giorno del suo viaggio in Messico, Papa Francesco si trova a Ciudad Juarez, nello Stato settentrionale di Chihuahua, proprio sul confine con gli Stati Uniti, città simbolo del narcotraffico, dello sfruttamento sessuale e che vive il dramma dell'immigrazione dal Centroamerica. Fra gli anni '90 e gli anni 2000 nella città si sono moltiplicati i femminicidi.
Papa Francesco è atteso al Colegio de Bachillers dal mondo del lavoro, prima di celebrare la
Messa con i migranti nell’area fieristica della città, a ridosso del muro costruito sulla frontiera.
La giornata si apre, però, con la tappa più significativa del giorno: la visita al
Penitenziario di Cereso.
Il Papa al carcere di Ciudad Juarez ha salutato dapprima le persone all'esterno, familiari dei detenuti; poi entrando si è rivolto agli operatori che lavorano in carcere. "Qui si incontrano situazioni di grande fragilità, ma Cristo sulla Croce è la più grande fragilità dell'umanità. Tuttavia con questa fragilità lui ci salva, ci aiuta, ci fa andare avanti, ci apre le porte della speranzaVorrei che ognuno di voi, con l'aiuto della Vergine, - ha sottolineato Papa Francesco - contemplando la fragilità di Cristo che si è fatto peccato e morte per salvarci, possa seminare il seme della speranza e della risurrezione".
Una donna detenuta ha ringraziato il Papa per la sua storica visita, ricordando di "avere nel cuore la speranza della Redenzione"
Cosa ha detto Papa Francesco ai detenuti a Ciudad Juarez?
Nel discorso che ha rivolto ai detenuti Papa Francesco è tornato a parlare di misericordia che abbraccia tutti e in tutti gli angoli della terra: «Non c’è luogo dove la sua misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che essa non possa toccare» ha sottolineato, ricordando che a Bangui, in Centrafrica, è stata aperta la prima porta della misericordia per il mondo intero.
Nel
penitenziario di Cereso, a Ciudad Juarez Papa Francesco celebra il Giubileo della misericordia assieme ai detenuti, per ricordare con voi «il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza».
In uno dei passaggi centrali, Francesco ha rimarcato che «le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società che è andata abbandonando i suoi figli».
«A volte potrebbe sembrare che le carceri si propongano di mettere le persone in condizione di continuare a commettere delitti, più che a promuovere processi di riabilitazione che permettano di far fronte ai problemi sociali, psicologici e familiari che hanno portato una persona ad un determinato atteggiamento».
Il reinserimento comincia con un sistema di salute sociale
Ma «il reinserimento non comincia qui tra queste pareti» ha aggiunto Papa Francesco. «Comincia prima, 'fuori', nelle vie della città. Il reinserimento o la riabilitazione comincia creando un sistema che potremmo chiamare di salute sociale, vale a dire, una società che cerchi di non ammalarsi inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni».«Un sistema di salute sociale che faccia in modo di generare una cultura che sia efficace e che cerchi di prevenire quelle situazioni, quelle vie che finiscono per ferire e deteriorare il tessuto sociale».
«Sappiamo che non si può tornare indietro, sappiamo che quel che è fatto è fatto; perciò ho voluto celebrare con voi il Giubileo della misericordia, poiché questo non significa che non ci sia la possibilità di scrivere una nuova storia d’ora in avanti. Voi soffrite il dolore della caduta, sentite il pentimento per i vostri atti e so che in tanti casi, in mezzo a grandi limitazioni, cercate di ricostruire la vostra vita a partire dalla solitudine. Avete conosciuto la forza del dolore e del peccato; non dimenticatevi che
avete a disposizione anche la forza della risurrezione, la forza della misericordia divina che fa nuove tutte le cose».
Nel passaggio finale Papa Francesco prima di chiedere ai detenuti di pregare per lui e di ricordare loro che possono essere segni delle viscere del Padre ha risottolineato ancora: «Chi ha sofferto profondamente il dolore e, potremmo dire, “ha sperimentato l’inferno” può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta non continui a mietere vittime».