Il giornalismo contribuisca a far crescere la dimensione sociale delle persone, rispettandone la dignità e amando la verità dei fatti. Sono alcuni dei punti sui quali Papa Francesco ha sollecitato il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti italiano, ricevuto in udienza in Sala Clementina.
Il bianco e il nero, nettamente suddivisi, sono colori difficilmente rintracciabili nel “pezzo” di un giornalista. Un articolo di cronaca è più spesso il racconto di infinite sfumature di grigi, perché “dibattiti politici e perfino molti conflitti sono raramente l’esito di dinamiche distintamente chiare, in cui riconoscere in modo netto e inequivocabile chi ha torto e chi ha ragione”.
Papa Francesco dimostra di comprendere a fondo il mestiere del cronista. E tuttavia, davanti ai circa 400 membri del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, non rinuncia ad alzare l’asticella del mestiere verso i suoi valori più nobili. Anche se il flusso mediatico va di corsa tra “tempi di consegna” scadenze, “è indispensabile – dice – fermarci a riflettere su ciò che stiamo facendo e come lo stiamo facendo”. Cominciando, indica, dall’amore per la “verità”, “fondamentale” – sostiene il Papa – per chi, pubblicando notizie, scrive in certo senso ogni giorno “la prima bozza della storia”: “Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro (...) La questione qui non è essere o non essere un credente. La questione qui è essere o non essere onesto con sé stesso e con gli altri. La relazione è il cuore di ogni comunicazione. Questo è tanto più vero per chi della comunicazione fa il proprio mestiere. E nessuna relazione può reggersi e durare nel tempo se poggia sulla disonestà”.
C’è poi un secondo atteggiamento che sta a cuore a Francesco, che sprona i giornalisti a “vivere con professionalità”. Non si tratta, precisa, di fermarsi al recinto della deontologia, ai doveri scritti nei codici, ma di “interiorizzare il senso profondo del proprio lavoro”:“Da qui deriva la necessità di non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici. Compito del giornalismo, oserei dire la sua vocazione, è dunque – attraverso l’attenzione, la cura per la ricerca della verità – far crescere la dimensione sociale dell’uomo, favorire la costruzione di una vera cittadinanza”.
Tutto quanto del Papa è un appello alla coscienza del giornalismo, che nella sua lunghissima storia ha annoverato tante “schiene dritte”, come quella di Giancarlo Siani, giovane cronista ammazzato 31 anni fa dalla camorra e ricordato dal presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, che ha donato al Papa un assegno per le vittime del terremoto.
Un giornalismo sano, afferma Francesco, è quello che evita le chiacchiere ma informa sempre rispettando la “dignità umana”: “Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre. Certo la critica è legittima e dirò di più: necessaria, così come la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro, la sua vita, i suoi affetti. Il giornalismo non può diventare un’’arma di distruzione’ di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame”.
“Quanto sarebbe bello che il giornalismo sapesse raccontare le vicende di tante donne e tanti uomini che giorno dopo giorno, con dignità e fierezza, affrontano le questioni della malattia, della mancanza del lavoro, dell’impossibilità a costruire un futuro”, aveva detto mons. Dario Viganò, prefetto della Segreteria della Comunicazione in apertura di incontro. “Perché – aveva proseguito – non coltivare il gusto per le notizie buone, quelle che non fanno mai capolino tra i grandi titoli dei giornali e della Tv che sembrano preferire tutto ciò che è segnato da violenza e da sopraffazione?”.
Nella stessa direzione, va l’augurio finale di Francesco: “Auspico che sempre più e dappertutto il giornalismo sia uno strumento di costruzione, un fattore di bene comune, un acceleratore di processi di riconciliazione; che sappia respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, e piuttosto favorisca la cultura dell’incontro”.