Nel Paese d’adozione in suo nome un progetto per i poveri «Difficile rimane cantare al Signore quando la morte è nelle case della gente». Padre Ezechiele Ramin scrisse queste parole amare in una lettera a casa, appena cinque mesi prima di essere assassinato, il 24 luglio 1985. Eppure, quello stesso sacerdote era il primo a riuscire nell’ardua sfida. «Tutti qui lo ricordano sempre con la chitarra in mano. Adorava la musica. E insegnava alla gente le canzoni italiane. Era solare, non perché non vedesse le difficoltà. Le conosceva fin troppo bene. Sapeva, però che Dio non ci abbandona. Il Signore gli dava forza. La stessa speranza che padre Ezequiel cercava di infondere negli oppressi». Padre Ezequiel. José Aparecido si riferisce al giovane comboniano sempre con il suo nome “brasilianizzato”, non con il diminutivo, Lele, con cui lo avevano ribattezzato familiari e amici a Padova, città dove era nato 32 anni prima. E così -
Projeito Padre Ezequiel - si chiama anche il programma creato dalla diocesi di Ji-Paraná in o- nore del sacerdote e coordinato proprio da José Aparecido. «Padre Ezequiel ha vissuto in Rondonia poco più di un anno. Eppure è incredibile quanto la sua memoria sia forte negli abitanti, soprattutto nei più poveri. Quando c’è stata la notizia dell’apertura, lo scorso aprile, della causa di beatificazione, la gioia popolare è stata incontenibile. Questo progetto è il nostro modo di onorarlo», racconta il coordinatore. L’iniziativa, nata tre anni dopo la morte di Lele, è strutturata in quattro aree di intervento: salute, agricoltura, infanzia, formazione. L’idea è promuovere a 360 gradi i diritti degli abitanti dello Stato di Rondonia, tra i più diseguali del Brasile. Ora come allora, la questione rovente è la fame di terra da parte dei contadini. La proprietà resta concentrata nelle mani di una ristretta élite di latifondisti. Nel 1984, al termine della feroce dittatura militare, quando padre Ramin arrivò nel Gigante latino, il problema esplodeva in tutto il suo dramma. Da ogni parte del Paese, una folla di disperati raggiungeva l’Amazzonia attirata dalle politiche governative di colonizzazione. Tanti, troppi, però, venivano esclusi dalla distribuzione degli appezzamenti e costretti a riparare in accampamenti di fortuna. «Si aprivano una strada – scrive Giovanni Munari nel libro
Padre Ezechiele Ramin, martire della Terra (Emi) – montavano una baracca di legno e cominciavano a seminare». Almeno fino a quando il latifondista di turno non li cacciava. A questo popolo errante di contadini senza terra, indigeni, sfruttati, Lele testimoniava la Buona Notizia, di un Dio che cammina fra i poveri. Con coraggio evangelico e profezia, il sacerdote li accompagnava nelle loro lotte pacifiche per un briciolo di dignità. «Non si può essere cristiani e voltarsi dall’altra parte di fronte alle sofferenze dell’uomo. Padre Ezequiel lo sapeva e lo viveva», conclude José Aparecido. Per questo, quel 24 luglio si recò alla Fazenda Catuva per cercare una mediazione tra i senza terra che avevano ne avevano occupato un frammento e i proprietari, decisi a cacciarli con la forza. Le pallottole dei sicari – tuttora liberi – lo colsero sulla strada del ritorno. «La paura della morte non fece desistere Cristo dal suo progetto di amore – disse Lele, secondo quanto riporta Munari, nelle celebrazioni del suo ultimo Venerdì Santo –. L’amore è più forte della morte ». In questa frase è sintetizzata la sua vita.
Lucia Capuzzi © RIPRODUZIONE RISERVATA