Appena tre mesi fa avevano guardato le immagini del viaggio di Papa Francesco in Terra Santa, pregustando quello che in questa estate 2014 sarebbe stato il loro pellegrinaggio. Ma – come già successo troppe volte in Israele e in Palestina – è giunta una nuova ondata di violenza a far cambiare bruscamente i programmi. Sono tante le diocesi e le parrocchie italiane che – sull’onda delle notizie provenienti da Gaza e da Israele – in queste settimane hanno scelto di non partire per Gerusalemme. Anche se quasi tutti parlano di rinvio piuttosto che di cancellazione, perché la Terra Santa resta comunque una meta fondamentale nel cammino del cristiano. I dati dell’Ufficio nazionale di statistica israeliano dicono che nel mese di luglio sono stati 5.500 gli italiani che si sono recati in Terra Santa. La cifra certifica un calo molto sensibile: negli ultimi anni in estate si erano toccate punte di oltre 20.000 italiani al mese. Abbastanza in linea anche il dato fornito dal ministro del turismo palestinese Rula Maayah, che appena qualche giorno fa parlava di un calo di circa il 60 per cento dei visitatori in Palestina nell’agosto 2014.Chi frequenta la Terra Santa lo sa bene: i venti di guerra si traducono sempre in un freno potente al flusso dei pellegrini. In questo caso poi, a rendere ancora più difficile la scelta di partire lo stesso ci sono stati i razzi sparati da Gaza anche verso Gerusalemme, le tensioni in Cisgiordania, le stesse incertezze sui voli che avevano visto – nel pieno del conflitto – le maggiori compagnie internazionali cancellare per due giorni Tel Aviv dalle proprie rotte per motivi di sicurezza. Anche adesso i tentativi in corso al Cairo per trasformare un fragile cessate il fuoco in una tregua duratura non sembrano sufficienti per far ripartire i pellegrinaggi: più che su questa fine estate ormai le speranze per una ripresa si concentrano sul periodo natalizio.Va detto, comunque, che tutti i luoghi religiosi e i siti di interesse storico, archeologico e turistico in Terra Santa sono sempre rimasti aperti in modo regolare e non sono stati affatto toccati dalla guerra. Anche per questo non sono mancati i gruppi che – controcorrente – hanno scelto di confermare lo stesso il proprio viaggio, trasformandolo in un gesto coraggioso di pace. È la scelta compiuta, ad esempio, dall’Ufficio pellegrinaggi della diocesi di Vicenza, che in questa estate è riuscita a compiere il proprio itinerario anche nel deserto del Negev, molto vicino alla Striscia di Gaza. «La nostra non è stata un’esperienza cieca o sorda – racconta Emanuela Compri –: è passata anche dalle sirene d’allarme, dal suono dello scoppio di un razzo e dal rumore in lontananza delle bombe su Gaza. È proprio perché lì si soffre che da cristiani non ci è consentito di allontanare lo sguardo e il cuore. La sola cosa che i cristiani di tutto il Medio Oriente chiedono è di non lasciarli soli. Impossibile raggiungerli fisicamente nelle aree più colpite dalla violenza. È possibile però farlo attraverso il pellegrinaggio in Terra Santa. Andare a pregare là per la pace, per la giustizia e per il perdono».Anche l’Opera Romana Pellegrinaggi ha continuato ad accompagnare gruppi in Terra Santa, convinta che i pellegrini siano un segno potente di pace per il Medio Oriente. Sul proprio sito internet ha pubblicato anche alcune testimonianze di chi ha partecipato a questi viaggi avvenuti mentre la televisione snocciolava le cifre delle vittime a Gaza. «Ci hanno abituati a ragionare con i numeri – ha scritto una pellegrina – e giustamente inorridiamo dinanzi alla quantità, spesso scordando che per Dio un milione è uguale ad uno... Nella terra di Gesù, uno accanto all’altro, c’è il museo di pietra e gli alberi rigogliosi per i tanti giusti che, nel passato e nel presente, hanno strappato dalle mani dei carnefici tante vite. Da oggi quei "numeri delle vittime" della striscia di Gaza, nel mio cuore avranno nome e volto...».