Un importante aspetto della Caritas in veritate, fin qui non adeguatamente considerato dai pur ricchi ed articolati commenti di cui l’enciclica è stata fatta oggetto, è quella sorta di « ricentramento » che essa opera in ordine alla dottrina sociale della Chiesa. Come ben noto, a lungo il magistero sociale ha fatto riferimento alla Rerum novarum di Leone XIII e ne ha ricorrentemente celebrato i più importanti anniversari, dalla Quadragesimo anno di Pio XI al radiomessaggio del 1941 di Pio XI, dalla Mater et magistra di Giovanni XXIII (1961) alla Octogesima adveniens di Paolo VI (1981). Con la Caritas in veritate avviene un ulteriore ricentramento, emerge un nuovo punto di vista, rappresentato non più dalla Rerum novarum ma dal Concilio Vaticano II. È lo stesso Benedetto XVI, infatti, – prendendo lo spunto per l’avvio del suo discorso dalla Populorum progressio – a sottolineare come questa enciclica sia strettamente connessa con il messaggio del Concilio Vaticano II. Tale legame «non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa» (n. 12). E tuttavia viene meno, di fatto, il quasi rituale riferimento alla Rerum novarum e viene avviato una sorta di «nuovo inizio », quello appunto rappresentato dal Vaticano II, poi continuamente richiamato nel testo della nuova enciclica. Non si tratta in alcun modo di una «sconfessione» della precedente impostazione, ma la Rerum novarum, come gran parte del successivo magistero della Chiesa, risentiva di un approccio che avrebbe voluto essere universalistico ma era in realtà «occidentalistico». Il fatto che di questo « nuovo corso » della dottrina sociale della Chiesa venga assunto a simbolo la Populorum progressio e che di essa ( non più dell’enciclica leoniana) sia stato volutamente celebrato dapprima il 20° ( Sollicitudo rei socialis) e poi il 40°, con la Caritas in veritate , sta a significare questo importante mutamento di prospettiva, che trova le sue radici nell’avvenimento conciliare. Senza mettere nel dimenticatoio una ricca stagione di riflessione ideale e di impegno operativo dei cattolici – quella, appunto, cui la Rerum novarum ha dato impulso – una nuova stagione si apre ora, nei nuovi scenari della globalizzazione ampiamente esplorati in questa enciclica di Benedetto XVI. Al centro di questa nuova prospettiva sta ormai non tanto la «questione sociale« quanto la « questione antropologica » , il problema, cioè, di dare una risposta rapida ed insieme convincente ai problemi dell’uomo, a partire da una più equa distribuzione dei beni della terra come espressione di quella eminente carità – operosa e fattiva, capace di incidere non soltanto sulle coscienze ma anche sulle strutture – che è il nucleo centrale del messaggio cristiano. Non è soltanto la dura realtà delle cose ma soprattutto l’ascolto umile e paziente della Parola – come mette in evidenza Benedetto XVI in una serie di importanti passaggi della sua enciclica – che legittima e fonda l’impegno dei credenti nella storia. Nel loro agire il magistero del Concilio Vaticano II assume un significato determinante, soprattutto per la lettura che, in particolare nella Gaudium et Spes , esso ha fatto dei «segni dei tempi». Anche la globalizzazione è uno di questi «segni»: spetta ai credenti coglierne appieno le potenzialità umanizzanti, in spirito di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Un’immagine del Concilio Vaticano II