Negli anni in cui fu sostituto alla Segreteria di Stato il futuro Paolo VI diede un particolare rilievo alla festa dell’Immacolata, di cui quest’anno ricorre il 160° anniversario di proclamazione del dogma. Nelle note di Montini per la ricorrenza dell’8 dicembre 1938 si legge: «Disegno celeste: - Cristo è venuto per rifare l’uomo nuovo - Maria è questa nuova creatura. Disegno terrestre: L’ha voluta Immacolata». Sempre da sostituto, nell’Anno Santo del 1950 Montini visse la «rara fortuna di assistere il Santo Padre Pio XII, nella sua biblioteca, nel momento in cui egli firmò la bolla di definizione del dogma dell’Assunzione di Maria», provando «l’emozione singolare di assistere, se pure ad infimo livello, a quell’atto, formidabile nella sua semplicità, perché collegato con la rivelazione di Dio, con la gloria della Madonna, con le cose del Cielo e la storia evangelica, con la vita della Chiesa e con la fede delle anime». E ancora, ricordando la solenne proclamazione di quel dogma in una «limpida e radiosa mattinata di novembre, nella piazza San Pietro gremita di fedeli e davanti a centinaia di vescovi giunti da tutto il mondo», Montini definì quel momento come «l’ora più grande di quel lungo, travagliato e glorioso pontificato; fu il giorno più bello di tutto l’Anno Santo, fu l’avvenimento religioso più rilevante del nostro tempo».
La riflessione montiniana sulla Madonna trovò approfondimento negli anni in cui il futuro Pontefice fu arcivescovo di Milano, e molti degli elementi più importanti del magistero pontificio mariano di Paolo VI si possono cogliere già nella sua predicazione milanese. Per Montini il culto a Maria doveva essere situato nel suo autentico posto nella Chiesa e praticato senza eccessi o negligenze, ma anche senza minimizzazioni. Attento a scoraggiare deviazioni e illusioni, Montini metteva in guardia da una devozione interessata o utilitaristica che avrebbe ridotto la religione e la fede a una «istituzione di mutuo soccorso» o a una «assicurazione contro la sfortuna». Similmente redarguiva quella pietà mariana che tendeva a separare Maria da Dio, presentandola come più buona e misericordiosa. Il culto alla Madonna invece avrebbe dovuto correttamente essere inteso e praticato come «introduzione e conseguenza del culto unico e sommo che dobbiamo a Gesù Nostro Signore».
Già da assistente della Fuci, nel 1930, Montini aveva scritto: «Non potremo comprendere la Madre senza il Figlio. Isolando queste due realtà storiche e spirituali non v’è modo di dare un significato della vita della Madonna. Ogni elemento della vita della Madonna conduce e si appoggia a Cristo. Tolto Cristo nulla resta. E ciò non è una diminuzione, ma un titolo di gloria per la Madre». Da arcivescovo di Milano Montini svolse una solenne predicazione in occasione delle festività mariane dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di Maria (festa del Duomo di Milano) e dell’Immacolata Concezione, considerata quest’ultima come «la festa della bellezza», intesa come bellezza morale di Maria, che è riflesso della bellezza di Dio. La Madonna era realmente tota pulchra, in senso globale, interiore ed esteriore, spirituale e fisico. La bellezza di Maria era pertanto quella dell’Immacolata, una bellezza dovuta all’assenza totale di peccato. Per Montini, che considerava estetica ed etica inseparabili, la vera bellezza non doveva mai separarsi dalla bontà. In quegli anni l’arcivescovo svolse due pellegrinaggi a Lourdes – il primo nell’estate del 1958, in ringraziamento per la Missione straordinaria cittadina del novembre 1957, l’altro nell’ottobre del 1962, promosso dal giornale cattolico milanese L’Italia – dal quale discende Avvenire – in occasione del cinquantesimo anniversario di fondazione del quotidiano. E sempre nell’ottobre 1962 Montini si recò a Gaeta visitando la cappella dell’Immacolata, chiamata pure «Grotta d’oro», ove pare che Pio XI avesse trovato ispirazione sul dogma dell’Immacolata Concezione.
Negli anni del suo pontificato Paolo VI dedicò alla Madonna due encicliche e tre esortazioni apostoliche. E per iniziativa di Papa Montini la preghiera mariana dell’Angelus, recitata regolarmente già da Giovanni XXIII ogni domenica a mezzogiorno, venne preceduta da un messaggio di riflessione personale rivolto ai fedeli e generalmente ispirato alla liturgia domenicale, che Paolo VI scrisse sempre di suo pugno. Le due encicliche mariane – Mense maio del 1965 e Christi Matri del 1966 – non affrontavano aspetti particolari ma promuovevano la preghiera alla Vergine nei due mesi dell’anno a lei dedicati (maggio e ottobre), soprattutto con l’intento, urgente in un momento storico molto travagliato, di invocare la pace. Invece l’esortazione apostolica Signum magnum che porta la data del 13 maggio 1967 – festività della Madonna di Fatima e 25° anniversario della consacrazione dell’umanità al Cuore Immacolato di Maria compiuta da Pio XII – si ricollega alla proclamazione di «Maria Madre della Chiesa» e la approfondisce indicando Maria come modello delle virtù cristiane, alla luce del Vangelo. Con la Recurrens mensis october, esortazione del 7 ottobre 1969, Papa Montini incoraggiava la preghiera a Maria, espressa soprattutto nella forma del Rosario, perché, come evidenziava in alcune sue meditazioni giovanili, la recita del Rosario sviluppa uno spirito filiale e di semplicità. Ed era dunque «logica» pure la ripetizione delle preghiere sui grani della corona poiché «siamo sempre all’abc della vita spirituale» e «bisogna ribadire i concetti fondamentali, come a scuola». Così intesa, la recita del Rosario non era più una preghiera semplice, ma diventava difficile se fatta con vera fede, in quanto richiede un’intensa meditazione sui principali misteri della fede.
L’ultima e più celebre esortazione mariana, la Marialis cultus, ritenuta il documento mariano più importante di Paolo VI e pubblicata quarant’anni fa, il 2 febbraio 1974, contempla aspetti sia teologici che pastorali. Il Papa intendeva adeguare la pietà mariana, considerata come «elemento intrinseco del culto cristiano», alle esigenze degli uomini contemporanei, nel rispetto della tradizione. Nell’esempio di Maria, esaltata sommamente per la sua umiltà, avrebbero potuto perciò trovare un costante riferimento anche le donne del nostro tempo in quanto, per Paolo VI, «Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubita di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo». La Madonna dunque nella prospettiva che ci offre il documento di Paolo VI, e che si rivela ancor oggi di grande attualità, non è solo intesa come donna purissima, angelicata e verginale, ma rappresenta anche una «donna forte che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio: situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società».