Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa e presidente della Commissione giustizia e pace della diocesi di Lucca, è un intellettuale con il polso dell’identità laica e religiosa della Regione.
Professore, qual è l’anima della Toscana oggi? È la Regione delle città, dei municipi, dei paesi, tutti con una forte identità locale, che è anche rivendicazione di autonomia e di libertà. Anche l’esperienza religiosa è molto variegata, a seconda delle località. Parlando di due città che conosco bene, per fare un esempio, se a Lucca il rapporto tra religiosità e mondo civile è ancora marcato ed evidente, a Pisa lo è meno. Basti un episodio recente. Il simbolo del comune di Pisa è una croce rossa in campo bianco, quella dei Cavalieri di Santo Stefano, simbolo sia religioso che civile. Lo troviamo in tutta una serie di luoghi pubblici. Mesi fa c’è stata una polemica per la pavimentazione della storica piazza dei Cavalieri, in cui era previsto che al centro ci fosse appunto il simbolo di Pisa. Per impedirlo sono scesi in campo uomini di cultura e c’è stata una raccolta di firme: secondo costoro si trattava di un simbolo religioso, ricordo di antichi scontri con i musulmani, che avrebbe potuto urtare i fedeli di religione islamica…
La Toscana si è sempre contraddistinta per la cultura della cooperazione: è ancora forte? Sì, penso a tutte le Misericordie, alle varie opere di volontariato. Che sono un modo di partecipare al contesto civile che ha ovvie radici religiose.
Quanto la presenza della Chiesa sul territorio resta capillare? Anche la Toscana sconta la crisi delle vocazioni, che ha comportato in molte diocesi l’unione di zone pastorali, con una diminuzione delle Messe, per cui è in parte cambiato il rapporto tra i fedeli e i sacerdoti sul territorio. D’altra parte la Toscana come l’Umbria resta una terra ricca di conventi e monasteri. Questi luoghi sono punti di riferimento non soltanto per le gite domenicali fuori porta. Sono centri di cultura e di spiritualità ancora molto importanti. Chi vive la fatica del quotidiano – penso alla parrocchia con tutti i suoi problemi – lì può rigenerarsi e ritrovare lo slancio dell’esperienza religiosa.
Luoghi come La Verna e Camaldoli, immaginoEsatto, insieme a tanti altri monasteri sia antichi che nuovi, penso alla comunità monastica di Siloe nel grossetano o alla comunità di cistercensi che si è insediata sull’isola di Capraia. La Toscana è anche terra di nuove fondazioni.
La crisi economica ha una qualche ricaduta sul religiosità della gente o sul suo rapporto con la Chiesa? La crisi morde e le persone, mi pare, riconoscono nella Chiesa un supporto, una sponda. La Caritas qui è estremamente attenta e attiva, rappresenta per molti il volto della cosiddetta Chiesa del grembiule. Da questo punto di vista, insomma, la Chiesa c’è, è presente e la gente se ne accorge. Dal punto di vista spirituale forse questo momento può essere di purificazione di una mentalità fin troppo consumistica. Forse passando attraverso queste difficoltà possiamo capire meglio quali sono i veri valori che dovrebbero caratterizzare la nostra vita. E credo che i gesti e le parole di papa Francesco siano di aiuto e in sintonia con quello che stiamo vivendo.