«È arrivato il Papa!». Per noi italiani, e forse anche per i lettori di Avvenire, questa è una frase letta e magari vissuta distrattamente da vicino molte volte. Ma quando sei in un ristorante in Centro America che cerchi disperatamente di farti dare qualcosa da mangiare in fretta prima di andare al palco per il concerto, e dalla cucina un cuoco urla: «Ha llegado el Papa!», riscopri la portata di questa frase. Tutte le cameriere smettono di lavorare e corrono a sedersi per guardare il Papa in tv! Il tempo si ferma, esplode l’entusiasmo.
Eppure nessuna di queste donzelle è una pellegrina della Gmg, ma i loro occhi lucidi e la loro straripante emozione amplifica in un istante la nostra. Perché un Papa che arriva per confermare il suo popolo nella fede, è realmente un dono vero. E forse è bene dirselo. Stamattina, durante le prove sul palco principale, c’è stato un momento in cui 150 giovani hanno sfilato con 150 bandiere: il mondo in un istante. I volti di questi ragazzi arrivati uno ad uno dall’intero pianeta erano una cosa sola. Le loro diversità e differenze si sposavano armoniosamente grazie al medesimo comune denominatore: Cristo e il cammino nella Chiesa.
Questa Chiesa giovane che per anni in passato ho deriso, oggi mi sta toccando nel profondo, perché dimostra un coraggio senza eguali, spirito di sacrificio e, soprattutto, non ha confini. Lo vedo costantemente: chiunque incontro per strada mi riconosce come fratello, e anche se in realtà non sa nulla di me, ugualmente s’interessa a me in modo autentico. Nel 2019, in particolare per noi europei, questa esperienza ha quasi dell’incredibile! Ma questo è il mondo che vorrei. Questo è ciò che ha reso inconfondibile il segno della fraternità cristiana nella storia. Ed è proprio questo amore fraterno, questo interessarsi all’altro, questo talvolta impicciarsi se necessario, che ha salvato la vita a noi come band e come amici. (4.continua)