L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, alla mensa dell'opera cardinal Ferrari in un'immagine d'archivio - Fotogramma
Elogia la città che, anche quando la pandemia mordeva più forte, ha fatto la sua parte e tutti coloro che sono rimasti al loro posto. E poi anticipa il tema della prossima Proposta pastorale rivolta all’arcidiocesi ambrosiana per l’anno 2021-2022, con il sogno, il desiderio di un mondo meno lamentoso e la speranza – quella affidabile nel Signore – che sostiene attraverso le diverse stagioni della vita. Sono molti i temi toccati nell’intervista all’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in occasione dei suoi 70 anni e pubblicata nel portale www.chiesadimilano.it e sui social della diocesi. A partire dal bilancio del doloroso passato recente. «La nostra Chiesa – spiega il presule – ha camminato molto nell’attenzione ai bisogni delle persone in ogni situazione, anche se vi è un’opinione pubblica che guarda alla Chiesa con una specie di prevenzione negativa e che tende a ignorare tutto quello che si fa».
Il giudizio è positivo anche per quanto riguarda Milano che l’arcivescovo definisce attraverso tre aggettivi lapidari «operosa, generosa, triste». Triste, ovviamente, per come è stata colpita dalla pandemia, ma anche per una sorta – e qui torna uno dei fili conduttori dell’intero episcopato delpiniano – di «lamento continuo» che occorre eliminare dall’agenda ecclesiale, sociale, politica. Alla domanda su quale sia il «sogno» del presule ambrosiano, la risposta è diretta: «Vorrei che una mattina tutti noi ci svegliassimo, scoprendo che dal vocabolario sono state abolite le parole del lamento».
L'arcivescovo Mario Delpini: la nostra comunità ecclesiale sia lieta e sinodale, accetti il rischio della vita sapendo che può essere applaudita o ignorata, contrastata o addirittura schernita
Un desiderio che è presente nella Proposta pastorale di prossima pubblicazione in cui si invita la comunità a vivere in pienezza «l’Anno liturgico nel distendersi dei suoi tempi» per una Chiesa che Delpini, indicando all’intera arcidiocesi che guida da quattro anni l’icona biblica dei brani del Vangelo di Giovanni dal capitolo 13 al 17, vorrebbe «unita, libera e lieta». «Unita nel cammino della sinodalità e di corresponsabilità; libera perché è nel mondo, ma non è del mondo, come Gesù raccomanda nei discorsi dell’Ultima Cena. Una Chiesa che accetta, insomma, il rischio della vita, che si propone sapendo che la sua originalità può essere applaudita o ignorata e contrastata o, addirittura in certi casi, schernita. Una Chiesa lieta, perché come una madre che partorisce, vive il travaglio, ma quando vede che nasce un uomo si rallegra».
Infine, naturalmente, il traguardo dei 70 anni, compiuti ieri, ma che l’arcivescovo annuncia di voler festeggiare nel Duomo di Milano il 28 novembre prossimo, invitando tutti i nati nel 1951 a cui chiederà un gesto di generosità a favore del Fondo San Giuseppe, da lui voluto per sostenere chi ha perso il lavoro per la pandemia. A quella celebrazione ci saranno i compagni della classe di ordinazione con cui Delpini diventò prete ambrosiano 46 anni fa e il cui motto recitava: “Uomini per la speranza”. Inevitabile la domanda finale se la speranza del giovane sacerdote di allora sia la stessa dell’arcivescovo di oggi. «Certo, perché la speranza cristiana non è l’aspettativa che si realizzi un progetto, ma è qualcosa che ha un nome preciso: Gesù. Questa è la speranza di quando siamo diventati preti, che continuiamo a vivere e su cui fondiamo la nostra vita attuale».