L'arcivescovo Antonio Giuseppe Caiazzo con alcuni migranti
Colpita da improvviso benessere? La domanda nasce quasi spontanea, arrivando a Matera e inoltrandosi nei Sassi. Un tempo simbolo di marginalità e degrado, oggi patrimonio dell’Unesco e causa prima della proclamazione della città lucana a Capitale europea della cultura per il 2019, le antiche abitazioni stanno conoscendo una nuova giovinezza. Turisti dappertutto, negozi di souvenir, ristoranti, alberghi, strutture ricettive e – ciliegina sulla torta – l’arrivo del grande cinema. Da Mel Gibson con la sua memorabile Passione di Cristoal remake di Ben Hur alla fiction di Raiuno. Su Matera, dunque, si sono accesi i riflettori. Ma è tutto oro quello che luccica? L’arcivescovo di Matera-Irsina, Antonio Giuseppe Caiazzo, non si lascia andare ai facili entusiasmi. «Sì, l’appuntamento del 2019 è importantissimo – sottolinea –, ma guai a considerarlo un punto di arrivo. Noi dobbiamo guardare oltre. Perché questa città, il suo territorio, la Basilicata intera possono diventare il laboratorio di un Mezzogiorno che finalmente imbocca la via di uno sviluppo non indotto dall’esterno, ma basato sulla risposta alla propria vocazione ».
E questo a Matera non è già avvenuto?
Che ci sia stato un cambiamento radicale è indubbio. E non solo a causa della proclamazione a Capitale europea della cultura. Prima è avvenuto un cambiamento di mentalità, quando ci si è accorti che società civile e istituzioni, lavorando insieme e nella stessa direzione, potevano ottenere molto di più che andando in ordine sparso. Questo però non deve farci dimenticare i problemi. Che ci sono ancora.
Che genere di problemi?
Abbiamo serie preoccupazioni a livello occupazionale. Io sono in diocesi da un anno e qualche mese e raccolgo quotidianamente lo sfogo della gente, i giovani soprattutto. Da quando sono arrivato almeno 300 persone sono venute a portarmi il curriculum, nella speranza che possa aiutarli a trovare un posto di lavoro, ma non è facile.
Eppure il 2019 dovrebbe aprire grandi possibilità in tal senso. Ma lei diceva: “Guai a fermarsi a quell’anno”. In che senso? Il rischio è quello di puntare tutto sul turismo e le relative strutture di accoglienza. Anche se ci sono giorni di grande affluenza in cui è letteralmente difficile muoversi in città, con un boom di arrivi soprattutto dall’Estremo Oriente, non possiamo andare avanti solo con ristoranti, B&B e pizzerie. Serve un progetto più complessivo che coniughi cultura e sviluppo, recupero e conservazione del territorio e promozione di ciò che abbiamo. Perché se non mettiamo basi solide, anche le strutture ricettive un domani potrebbero svuotarsi.
L’arcidiocesi di Matera-Irsina come si sta preparando al 2019?
Siamo stati tra i primi a presentare un progetto, elaborato da un apposito gruppo di studio, che abbiamo intitolato Tra radici e futuro. Le faccio un esempio: l’antica Cattedrale di Matera è la chiesa rupestre più grande sul nostro territorio, ma attualmente è nella disponibilità di un privato che la tiene chiusa al pubblico. Invece avrebbe bisogno di urgenti lavori di manutenzione, perché gli affreschi si stanno deteriorando. Recuperare questi tesori è di fondamentale importanza. Per cui è desiderio e auspicio dell’arcidiocesi che il patrimonio di fede e carità, di devozioni e tradizioni, come tutto il bagaglio artistico della nostra Chiesa, continuino a offrire e a promuovere la cultura dell’umano e la dignità della persona, e custodiscano i valori che rendono ricca e bella la nostra terra.
«Tra radici e futuro» guarda dunque ai giovani?
È rivolto soprattutto a loro. Il “laboratorio Matera” potrà dire di aver portato a termine il suo esperimento quando avrà creato le condizioni affinché i giovani non siano più costretti ad emigrare per costruirsi un futuro. Ecco perché nel nostro progetto abbiamo sottolineato la necessità di lavorare in sinergia con il mondo universitario. Dobbiamo far sì che da un lato i giovani si innamorino del territorio, dall’altro che abbiamo gli strumenti scientifici e culturali per un vero rilancio.
Com’è il rapporto con le istituzioni politiche locali?
Un appuntamento come Matera 2019 e tutto quello che seguirà hanno bisogno di corresponsabilità a tutti i livelli. Per questo, in occasione di un momento di particolare tensione tra le forze politiche della città, ho scritto al sindaco, alla Giunta e al Consiglio comunale una lettera-appello, che è stata accolta molto bene da tutti e, a detta degli stessi destinatari, avrebbe favorito la soluzione della crisi. Come Chiesa locale daremo sempre il nostro contributo al bene comune.
Lei accennava prima ai tanti curriculum che le vengono portati. Come può rispondere la Chiesa locale a questa fame di lavoro?
Papa Francesco con la sua Chiesa “in uscita” ci sta indicando uno stile: entrare nelle “periferie esistenziali” che sono quotidianamente intorno a noi. Il mondo del lavoro è una di queste periferie. Stiamo attuando il Progetto Policoro anche in diocesi e abbiamo fatto nascere diverse cooperative che finora hanno dato lavoro a quasi 200 giovani. Guide per le chiese rupestri, accoglienza e inserimento lavorativo degli immigrati, assistenza agli anziani, anche il sistema turistico-ricettivo. A breve partiranno anche progetti nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento, un’altra delle risorse dimenticate della nostra terra. Ma lo scopo principale è quello di cambiare la mentalità: non più rassegnazione o sfibrante attesa di un posto fisso, quanto piuttosto l’autoimprenditorialità che porta a rimboccarsi le maniche e a creare nuove possibilità occupazionali.
La Fiat a Melfi, il petrolio in Val d’Agri, la valorizzazione del patrimonio culturale a Matera. Quale modello di sviluppo è più connaturale alla vocazione del Sud?
Sono tre poli che indicano la ricchezza della nostra regione e in generale del Mezzogiorno. Si tratta di armonizzarli opportunamente, tenendo conto che mentre le prime due non possiedono ulteriori possibilità di sviluppo e comunque hanno anche un impatto ambientale, ciò che sta avvenendo a Matera non ha questi limiti e può davvero essere di esempio per tutto il Meridione.
Tornando al tema del bene comune, lei scrive nella sua prima Lettera pastorale che il programma diocesano si può riassumere nel percorrere «la Statale Gerusalemme-Gerico ». Che cosa intende dire?
Che come il Buon Samaritano, il quale scendeva appunto da Gerusalemme a Gerico, dobbiamo mettere in atto un umanesimo in ascolto delle persone e delle loro sofferenze, un umanesimo concreto capace di versare sulle ferite esistenziali il vino della speranza e l’olio della consolazione. Un umanesimo aperto alla trascendenza. In questo non dobbiamo dimenticare la grande lezione del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze. Oggi sono tante le ferite del corpo e soprattutto dell’anima: mancanza di lavoro, come ho già ricordato, ingiustizie sociali, famiglie sconvolte da divisioni e litigi, vendette, la piaga dell’aborto. Si pensi che nel nostro ospedale di Matera c’è una percentuale di interruzione della gravidanza che fa rabbrividire: tra i cinque e i sette casi alla settimana. In tutte queste situazioni dobbiamo essere presenti con la luce di Cristo.
Come? Ho fatto il parroco per tanti anni e ho imparato che il Vangelo arriva a tutti se davvero si va da tutti. In altri termini è finito il tempo di suonare le campane, ora è il tempo di suonare i campanelli. Dobbiamo uscire di più, le chiese devono essere sempre più aperte, attente alle periferie. E quando dico periferie non intendo solo i poveri, gli immigrati, gli anziani, i tossicodipendenti, i carcerati, ma anche il professionista che non ha problemi economici, ma che è forse il più povero di tutti perché non ha Dio.
I NUMERI
55 parrocchie
91 sacerdoti
143mila gli abitanti
2095 Km quadrati
13 i comuni
4 i santuari