«Bergamo vivrà questa Settimana liturgica con la consapevolezza di come papa Giovanni, attraverso il Concilio, ci abbia riconsegnato il grande tesoro della liturgia, che è culmine e fonte della vita della Chiesa. La liturgia è una delle questioni fondamentali del Vaticano II, attorno al quale ci sono state grandissime speranze ma anche grandi, e attuali, tensioni. Sappiamo bene quanto siano forti e decisivi i rapporti liturgia-evangelizzazione e liturgia-carità».L’Anno della fede, il 50° del Concilio, il 50° della morte di Giovanni XXIII «che stiamo celebrando con particolare intensità»: dando il benvenuto ai partecipanti alla 64ª Settimana liturgica nazionale, il vescovo di Bergamo Francesco Beschi addita il cammino particolare che la diocesi lombarda sta vivendo. È la terza volta che la Settimana liturgica si svolge nella terra di Angelo Roncalli. Tornare a ospitarla, dopo le edizioni del 1972 e del 1987, è «un’occasione preziosa – scandisce Beschi –. Il prossimo anno ho intenzione di incontrare nei 28 vicariati della diocesi gli animatori liturgici. La Settimana – che si apre domani, giorno in cui Bergamo festeggia sant’Alessandro, patrono della città e della diocesi – è un dono che interpreto come un’apertura simbolica di questo itinerario all’incontro con i nostri animatori».L’«ospitalità» e la «partecipazione», prosegue Beschi, non sono i soli doni che Bergamo può fare all’evento nazionale: ve ne sono altri due. «Il primo: l’intelligenza liturgica di quei sacerdoti che hanno approfondito il tema a partire dal Concilio, non solo sul piano teorico, ma delle conseguenze della centralità della liturgia nella vita pastorale. È un aspetto presente nella storia della Chiesa di Bergamo che spero possa "passare" nella Settimana. Il secondo: la ricchezza della tradizione popolare liturgica, della liturgia del popolo, delle tradizioni mariane, che è fortissima, ma non solo come elemento esteriore. Spesso nella tradizione è stata custodita la fede del popolo. Il tema delle tradizioni popolari nell’ambito liturgico è un altro dono che la comunità bergamasca può fare all’evento». (
Lorenzo Rosoli)«Cose nuove e cose antiche. La liturgia a 50 anni dal Concilio». È questo il tema della 64ª Settimana liturgica nazionale che si apre lunedì pomeriggio a Bergamo con la celebrazione di Vespri solenni in Cattedrale presieduti dal vescovo della città, Francesco Beschi. Per presentare l’evento Avvenire ha sentito Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano e presidente del Centro di azione liturgica (Cal) – storico organismo promotore dell’evento –, che subito dopo il momento di preghiera introdurrà e presenterà le giornate che verranno ospitate nel Seminario vescovile «Beato Giovanni XXIII» della diocesi orobica.
Eccellenza, qual è il messaggio che la Settimana liturgica nazionale vuole lanciare in quest’anno?L’intenzione è quella di fare memoria ragionata e quindi un bilancio obiettivo dalla riforma liturgica scaturita dal Concilio. Ed è significativo che tutto ciò sia stato programmato all’insegna del detto matteano: «cose nuove e cose antiche». Nel paragrafo 23 della <+corsivo>Sacrosanctum Concilium<+tondo> si parla di quella «sana traditio et progressio». La liturgia scaturita dal Vaticano II si è infatti inserita in una linea di «traditio» e «progressio», in una linea di continuità nella novità. Il problema è soprattutto cogliere il significato autentico della parola tradizione.
Cioè?La tradizione implica la vitalità dell’<+corsivo>Evangelium Christi<+tondo> nella Chiesa. La vera tradizione liturgica è una tradizione vitale tramite la quale si viene a realizzare il rapporto tra le generazioni dei credenti. E non è un semplice custodire e conservare uno scrigno che contiene bellezze e simboli antichi, altrimenti si cadrebbe nel cosiddetto tradizionalismo, che è una mera concezione statica della liturgia. La liturgia infatti è veicolo della trasmissione della fede che non consiste nel restaurare il passato dogmatico, simbolico e spirituale del cristianesimo nei suoi vari codici, bensì nell’attualizzare il passato in modo, come ha insegnato il Concilio, di restituire la liturgia al popolo e il popolo alla liturgia.
Quali sono secondo lei gli aspetti positivi della riforma liturgica postconciliare? E quali quelli negativi?L’articolazione dei lavori rotea attorno a tre temi per così dire generatori: la Chiesa, la Parola, il rito. E come tutte le riforme, fatte da uomini, ci sono cose luminose ma ci sono anche aspetti da riscoprire e anche da rivedere. La riforma liturgica nella sua prima fase ha vissuto l’entusiasmo del cambiamento, ma non poche volte è venuto meno il vero senso di una riforma, e cioè che prima dei riti c’è la mentalità, la persona da riformare. Ed è quindi molto importante ricordare che la riforma liturgica non ha mirato solo a rivedere i riti, ma soprattutto ad essere elemento propositivo di una nuova mens da acquisire.
Il primo tema «generatore» riguarda quindi la Chiesa…Sì, la Chiesa come riscoperta dell’assemblea celebrante del cosiddetto noi ecclesiale che costituisce il superamento di una ecclesiologia gerarcologica e piramidale. A questo proposito ho ritrovato un bel testo di Paul Ricoeur in cui il grande filosofo dice: «Sono grato alla liturgia di strapparmi alla mia soggettività, di offrimi non le mie parole, non i miei gesti ma quelli della comunità». Ricoeur spiega bene il carattere assembleare della liturgia, non in senso democratico ovviamente, ma come assemblea «convocata da» in cui il protagonista è sempre il Signore. E questo contro ogni forma di isolazionismo e di sentimentalismo che non coinvolge l’assemblea nella sua realtà dinamica. A questo fine è bene poi ribadire che il rito deve essere accessibile, comprensibile ai fedeli, senza però scendere in sciatterie e pressapochismi da kermesse civili. E per questo è importantissima la formazione teologico-liturgica che non sempre è stata portata avanti.
Un altro tema "generatore" della Settimana è poi la Parola…Infatti. Oggi non c’è rito che non sia accompagnato dalla Parola, in modo da riscattare ogni evento liturgico da una visione sacro-magica. Tra le acquisizioni più significative del Vaticano II c’è proprio la centralità della Parola, e infatti nella storia della Chiesa non c’è mai stata una così grande conoscenza della Parola di Dio come in questo periodo attraverso la ricchezza del Lezionario biblico festivo e feriale. Da qui l’importanza dell’omelia che deve essere tenuta in ogni celebrazione eucaristica.
Anche se, e lo si evince anche dal programma della Settimana, quello dell’omelia sembra essere un punto dolente delle liturgie…In effetti è così. L’omelia ci deve essere sempre ma deve essere breve ed essenziale, deve partire dai testi del Messale e del Lezionario per attualizzarne i contenuti. E sempre nel rispetto della Parola, nel senso che è Lui, il Signore, che deve parlare nell’omelia e non gli umori di chi la pronuncia.