«Il Nordest, semmai fosse esistito, ha perso dinamicità economica e sociale. La Chiesa no. Le comunità cristiane sono il motore della coesione delle nostre genti. Ma tanti di noi cristiani siamo ancora timidi nell’annuncio del Risorto». Mauro Corona riflette dalla sua Erto, in riva alla diga del Vajont, a 50 anni dalla tragedia, sui segni di speranza in giorni in cui si legge di disperazione, addirittura di rinunce estreme alla vita. «La Chiesa di papa Francesco è la Chiesa della speranza. Sono certo che i nostri vescovi, incontrandolo, rilanceranno con vigore questo impegno: avvertiamo oggi, più ancora di ieri, il bisogno di credere autenticamente nel Cristo risorto». Corona è tra i più noti scrittori italiani e nelle sue opere si occupa di altri temi, ma si definisce «un credente, seppur peccatore». «Quando parlo di timidezza nell’annuncio non voglio fare un’accusa generica, semmai rappresentare un’ansia in positivo. Mi sembra però che in taluni casi la prospettiva della Risurrezione e in particolare quella della misericordia, con papa Francesco che sollecita a chiedere perdono perché sicuramente nostro Signore ce lo concede, viene trattenuta nel messaggio, soprattutto ai giovani. Tanti dei quali, con la paura del castigo predicata loro fin da piccoli, si allontanano non dalla fede, ma dalla istituzione. E vivono un credo a modo loro. Col rischio, ecco l’allarme, di finire nel nichilismo». Corona riconosce alle parrocchie, all’associazionismo e al volontariato cattolico una forza che altri non hanno. Arriva a dire che «il Nordest della crisi sarebbe oggi alla miseria se gli impoveriti, bussando ad una canonica, non trovassero sempre una risposta». Non ha dubbi sul fatto che i vescovi stiano in trincea a difendere «valori, come quelli della vita, della famiglia, della solidarietà, che altrimenti franerebbero». Sollecita, però, una nuova capacità di annuncio: «che sia veramente capace di entrare nell’esistenza delle persone, specie dei giovani». «Dobbiamo imparare ad affidarci di più alla Provvidenza. Ho scritto spesso di "Giobba", Maria Corona, di Erto, che aveva 9 figli e che, uno dopo l’altro, l’ha perso per la febbre spagnola piuttosto che in guerra o perché finito sotto un albero. Non imprecava reagiva sospirando "Se Dio vuole così…". E non era rassegnazione, anzi lei continuava ad andare avanti impegnandosi nella vita di tutti i giorni». Secondo Corona arriveranno tempi bui, nel senso che il dopo crisi imporrà nuovi stili di vita anche a chi non li ha cambiati durante la crisi. «Ecco perché credo nella necessità di un nuovo annuncio da parte dei sacerdoti. L’annuncio della Risurrezione. Ma con lo stile gioioso di papa Francesco, quello dell’accoglienza e della misericordia. Che non vuol dire mettere una pietra sopra alla distinzione fra bene e male. Ma che anche dal male ci si può redimere». Fa un esempio, «che non vorrei fosse male interpretato», premette. «Si sa che a me piace il vino. Sto per pubblicare un libro rivolto ai giovani in cui non teorizzerò il proibizionismo, ma insegnerò a bere sobriamente. Ecco, immagino parroci e sacerdoti che riprendano a dare le linee-guida della vita quotidiana, come avveniva un tempo, senza bacchettare, semmai sollecitando chi sbaglia a ravvedersi, a chiedere perdono, perché, come ricorda sempre papa Francesco, nostro Signore ci ama come un papà, il nostro papa Luciani direbbe come una mamma».