Padre Manuel Alvarez Vorrath, direttore per l'Italia dei Legionari di Cristo - Legionari di Cristo
Il passato nessuno è in grado di cambiarlo. Resta quello. Però puoi trasformarlo da nemico in alleato, farlo diventare memoria sapiente, occasione di crescita, via di purificazione. L’importante è evitare errori grossolani, discernere bene, essere attenti nel separare la zizzania, destinata al macero, dal grano buono. Un’immagine evangelica che può essere applicata al Capitolo generale dei Legionari di Cristo, Congregazione alla prese con la drammatica e per certi versi paradossale esigenza di salvaguardare il proprio carisma dalla tragica eredità del fondatore, il messaggio dal messaggero. A dodici anni dalla sua morte infatti la cattiva fama di padre Marcial Maciel Degollado, abusatore seriale, arrivato a esercitare violenza sui suoi stessi figli, continua a gettare una pesante ombra nera da cui è difficile liberarsi. E lo stesso vale per la rete di connivenze, per i silenzi complici che l’hanno accompagnato e coperto.
Non a caso, in avvio dei lavori, ai capitolari, 66 sacerdoti provenienti da nove “territori”, è stato presentato un rapporto, una “Radiografia di otto decenni per sradicare gli abusi” in cui sono raccolti i risultati di un’indagine interna sui casi accertati dal 1941 ad oggi. I numeri parlano di 175 minori, di età tra gli 11 e 16 anni, vittime di 33 sacerdoti, tra cui 14 con incarichi di responsabilità. Il solo Maciel è stato riconosciuto responsabile di 60 abusi. Parallelamente è esploso il caso di Fernando Martinez Suarez, dimesso dallo stato clericale perché riconosciuto colpevole di violenze su sei bambine agli inizi degli anni ’90, nonché, nel 1969, su di un bimbo di circa 4. Da notare che Martinez a 15 anni era stato a sua volta vittima di Maciel.
Un momento del Capitolo dei Legionari di Cristo in corso a Roma - Legionari di Cristo
Come si capisce la presentazione del rapporto ha senso solo se pensata per mettere al centro i diritti e la cura delle vittime, per andare all’origine dei casi, per valutare l’efficacia delle misure già adottate, i cosiddetti “ambienti sicuri”, ed eventualmente stabilirne di nuove. Lavoro, appunto, nell’agenda del Capitolo generale che ha come altre priorità il bilancio degli ultimi sei anni, l’elezione del nuovo governo nonché le sfide dell’evangelizzazione e le questioni urgenti per il prossimo sessennio. Compiti cui Regnum Christi, la Federazione di cui i legionari fanno parte, affronterà forte degli Statuti entrati in vigore il 15 settembre scorso dopo l’approvazione della Santa Sede, ad experimentum per 5 anni, arrivata l’11 giugno 2019. Frutto di un cammino di revisione lungo 9 anni. La nuova configurazione canonica prevede che Regnum Christi sia appunto una Federazione, formata e governata collegialmente dai Legionari di Cristo, le consacrate e i laici consacrati, con voce e voto consultivo dei laici che vi si associano individualmente. Si tratta , come si capisce, di un organigramma che per funzionare ha bisogno di armonia, di un’orchestra in cui ciascun musicista deve conoscere bene ed eseguire con cura il proprio spartito. A cominciare dal nuovo direttore generale del Legionari di Cristo, eletto lo scorso 6 febbraio dal Capitolo. Si tratta di padre John Connor, 51 anni, statunitense, già superiore territoriale in Nord America con esperienze anche in Germania, Italia e Spagna. Dicono le cronache che è il primo non messicano alla guida della Congregazione. Scelta che potrebbe essere un ulteriore segno della volontà di cambiamento.
I Legionari di Cristo sono una delle quattro componenti “Regnum Christi” di cui fanno parte anche consacrate,
Dalle parole ai fatti. Dalla “malattia” alla guarigione, ma senza nascondere le “cicatrici”. Da un governo centralizzato, quasi monocratico, a una guida più collegiale. Padre Manuel Alvarez Vorrath, 45 anni, direttore territoriale per l’Italia dei Legionari di Cristo, commenta con pacato ottimismo gli scenari che emergono dal Capitolo generale della Congregazione. Si tratta di guardare con realismo e concretezza al futuro, a partire però, e non potrebbe essere altrimenti, dall’ombra scura lasciata dal fondatore. Perché l’oggi è segnato dalla realtà di un carisma che resiste all’infezione della sua radice, che va avanti nella sua missione malgrado la pesante eredità lasciata da Marcial Maciel il cui comportamento criminale, a 12 anni dalla morte, non smette di stupire e indignare. «È importante chiarire – sottolinea padre Alvarez – che una volta approvato, il carisma non è più della Congregazione e neanche del fondatore ma appartiene alla Chiesa, supera i limiti della stessa istituzione che l’ha generato. I carismi sono una sottolineatura del Vangelo, un modo per seguire Gesù. Non bisogna farne un assoluto perché lo scopo è arrivare a Dio ma al tempo stesso vanno preservati perché sono un Suo dono. Io credo, ma è una mia personalissima chiave di lettura, che in una società di uomini “fragili” il Signore scelga strumenti che lo sono a loro volta per far vedere che l’opera è sua. Se fosse solamente umana sarebbe già finita».
Immagino sia difficile far capire la differenza tra la vita del fondatore e la vostra. Come si può recuperare credibilità nell’opinione pubblica?
Certo l’ideale sarebbe che messaggio e messaggero fossero un tutt’uno. Si è credibili quando la propria vita è coerente col messaggio che si annuncia, nel nostro specifico la verità evangelica. Penso sia stato molto importante, sebbene emotivamente impegnativo e anche doloroso, aver fatto luce sul caso degli abusi; abbiamo cercato nel modo più approfondito e serio possibile di documentare quello che purtroppo è accaduto. Chi si affaccia dall’esterno saprà vedere nella trasparenza, nell’onestà e nella serietà di indagine e di ascolto con cui abbiamo affrontato questi temi la coerenza delle scelte. È questo a renderci credibili. Si tratta di un cammino che dura tutta la vita per ognuno di noi. Poi a dimostrare che si è diversi dal fondatore, più delle parole conteranno le persone, le loro vite, le nostre realtà spirituali e sociali, i fatti.
Quello in corso si può definire il Capitolo della rinascita?
In realtà si tratta del primo Capitolo generale ordinario in senso stretto, perché prima era il fondatore che decideva tutto. Poi nel 2014 è arrivato il Delegato Pontificio ed abbiamo rifatto le costituzioni e scelto un nuovo governo. In questo Capitolo abbiamo l’elezione del direttivo, le eventuali modifiche alle norme introdotte ad experimentum e le linee guida per i prossimi sei anni. Abbiamo cominciato dagli abusi perché la relazione presentata a dicembre 2019 aveva fatto scalpore. Adesso vogliamo “prendere il largo” per portare avanti la gioia di evangelizzare, della missionarietà, di essere “Chiesa in uscita”. È questo che dà senso alla nostra vita.
Le vicende, terribili, degli abusi sembrano non finire mai...
Le vittime hanno i loro tempi, arrivano a denunciare dopo periodi di maturazione che sono diversi da una all’altra, spesso molto lunghi. Si tratta di decidere prima come agire quando i casi vengono evidenziati, in modo che al primo posto sia messo chi ha subito abusi e dopo come fare luce sui percorsi realizzati finora. Con grande onestà, facendo i necessari “mea culpa”, evidenziando che magari non siamo stati sempre all’altezza per accogliere ed ascoltare come avremmo dovuto o abbiamo ceduto a un certo negazionismo istituzionale.
Un momento del Capitolo dei Legionari di Cristo in corso a Roma - Legionari di Cristo
Si è ipotizzato persino di cambiare il nome della Congregazione...
Anche se la proposta è arrivata sul tavolo nel 2014 non l’abbiamo fatto perché abbiamo guardato alla Passione. Il Signore quando risorge si presenta con le stimmate, per far capire che è proprio Lui. Noi abbiamo deciso di fare la stessa cosa. Cerchiamo di operare un rinnovamento vero rimanendo quel che siamo, non cambiando l’immagine con un’aggiustatina, con una truccatina. Dobbiamo essere noi stessi, con la nostra vita, a parlare, a testimoniare chi siamo.
1.501 i Legionari di Cristo, congregazione che fa parte di Regnum Christi e impegnata in Capitolo
Il report sugli abusi ha fornito i numeri di queste vicende terribili. Non sarebbe stato opportuno fare subito tutti i nomi dei chierici coinvolti?
Ci sono due aspetti da considerare: da una parte il Papa l’anno scorso parlando ai presidenti delle Conferenze episcopali ha ricordato che fin quando c’è un’indagine in corso si presume l’innocenza, perché se si fa un nome, quella persona viene “uccisa” dai media e poi, nell’eventualità di un’assoluzione, ristabilire la buona fama risulta impossibile. L’altro aspetto riguarda le legislazioni civili, con situazioni anche molto diverse tra loro. Ci sono paesi europei in cui le norme sulla privacy sono molto esigenti. In altri, ad esempio gli Stati Uniti, dove invece è consentito, abbiamo fatto i nomi laddove la colpevolezza sia stata accertata. La prassi cambia da realtà a realtà. Dove le leggi lo permettano e i processi canonici sono finiti si valuterà caso per caso quando sia conveniente farlo per il bene delle vittime e della società. Ci siamo impegnati a sradicare questi crimini dalla congregazione.
Un altro aspetto fondamentale riguarda però la prevenzione.
Abbiamo attivato un codice di condotta per la protezione dei minori che prevede anche una selezione molto più rigorosa per chi chiede di entrare in noviziato. Ma controlli, filtri, riguardano tutto il periodo di formazione, che dura circa 13 anni, non poco. Quanto ai casi sospetti, per garantire la massima trasparenza sin dall’avvio, le indagini interne si avvalgono di consulenti e di specialisti “esterni”; la persona accusata, su cui si apre formalmente un’indagine, viene automaticamente ritirata dal ministero pubblico. Inoltre periodicamente la Praesidium, Inc, un’organizzazione indipendente impegnata nel campo della protezione dei minori, verifica con degli audit come stiamo lavorando. Vogliamo rendere sicuri i nostri ambienti e istituzioni.
41 le parrocchie affidate (i dati sono del 2018) ai Legionari di cui 25 in Messico e 8 in Italia
Malgrado la crisi, continuate ad avere vocazioni.
Non sono i numeri di prima ma ancora oggi nel Seminario qui a Roma ci sono 250 seminaristi. Comunque più della quantità conta che anche grazie al rinnovamento della formazione, dell’approccio, i seminaristi cerchino davvero la santità, la gioia di seguire Gesù, la gloria di Dio, il servizio alla Chiesa e il bene delle persone. Che abbiano un’identità forte di uomini di Dio, realizzati, gioiosi, capaci di rendere testimonianza che il Vangelo può riempire la vita.
Si è parlato molto del quarto voto che vi impediva di parlare male del fondatore.
È la prima cosa che ha tolto Benedetto XVI. Non si poteva criticare un superiore se non con uno più in alto in modo da fermare le critiche, le maldicenze. In sé non era una cosa malvagia però abbiamo visto che impediva di fare luce sulle cose che non andavano. Ma c’è anche un quinto voto che manteniamo ancora: quello di non desiderare per sé o per altri, incarichi e ruoli di prestigio in seno alla Congregazione. Così da evitare il carrierismo. Abbiamo lasciato tutto per servire.
Oltre a chi fa parte del Regnum Christi, ci sono sacerdoti e vescovi per così dire “amici”.
Aderiscono alla spiritualità, il nostro movimento come tutti gli altri è uno strumento che ti dà elementi, mezzi di perseveranza, di apostolato per arrivare al Signore. Alla fine si tratta di andare in cielo, il resto sono solo mezzi. Qui a Roma abbiamo il Pontificio Collegio Maria Mater Ecclesiae che è nato per formare i formatori di Seminario. Tra quelli usciti da lì otto sono diventati vescovi. Una struttura simile si trova anche in Brasile a San Paolo. Sono i vescovi a decidere chi mandare.
State sperimentando la collegialità.
La scelta della Santa Sede di dare autonomia ai laici e alle consacrate laiche è stata molto saggia, però l’elemento del carisma e la missione restano comuni. In questo senso la Federazione del Regnum Christi ci sembra la forma canonica che può rispondere meglio all’esigenza di collaborare insieme sia a livello generale che di province.
Ma lei quando ha saputo dei comportamenti del fondatore ha pensato di uscire?
Ricordo che mia madre me lo chiese a bruciapelo: cosa pensi di fare? Io le ho risposto che ci stavo pregando su, ma che fino ad allora la mia vita nella Legione era stata felice. E che a farmi più male era vedere i confratelli e le consorelle soffrire, perché loro erano, e sono tuttora, un’altra parte della mia famiglia.