Nel ricevere il riconoscimento della città di Aquisgrana, Bergoglio si è rivolto alla «madre Europa» per ritrovarvi «le proprie radici di vita e di fede» e ha ricordato l’illuminato progetto di Schuman, Adenauer e De Gasperi: osarono trasformare radicalmente i modelli dai quali venivano solo violenza e distruzione ROMA «Che cosa ti è successo Europa, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo Europa madre di popoli e nazioni?». È l’Europa allo specchio. Perché s’interroghi e sappia rivedere i segni della sua stanchezza e della sua vecchiaia, di una rovinosa decadenza che la portano oggi a ripiegarsi su se stessa, a trincerarsi, a negarsi. «L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale. Il volto dell’Europa non si distingue nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure». Queste le parole pronunciate dal Papa ricevendo ieri nella Sala Regia del Palazzo Apostolico il Premio internazionale “Carlo Magno” alla presenza del cancelliere tedesco Angela Merkel. La motivazione del premio è legata all’impegno di Francesco per un’Europa di pace, fondata su valori comuni e aperta ad altri popoli e continenti. Il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz, del Consiglio Europeo Donald Tusk, della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, insieme con il premier italiano Matteo Renzi e ll’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, hanno conferito al Papa il riconoscimento attribuito ogni anno dalla città di Aquisgrana a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori che fondano l’unità europea. Il premio è stato consegnato materialmente nelle mani di Bergoglio dal sindaco di Aquisgrana, Marcel Philipp, e dal presidente del Comitato direttivo del Premio, Juergen Linden. «Un’eredità questa – ha detto il presidente Schulz nel corso della cerimonia per il conferimento del Premio – che si sta dissipando a causa delle forze centrifughe, delle crisi che tendono a dividerci piuttosto che a unirci più strettamente. A causa dell’espansione degli egoismi nazionali, della rinazionalizzazione e del particolarismo nazionale». Francesco ha trasformato la circostanza in un’occasione per chiedere «uno slancio nuovo e coraggioso», e nel suo sentito discorso si è rivolto a tutta l’Europa toccando le corde più profonde della sua anima e il nervo scoperto dello spegnersi dell’unità cooperatrice, innovatrice e crea- trice nei «paradigmi unilateali», nei «riduzionismi » della «massificazione» e del «proprio utile», chiamando in causa la vocazione genetica dello spirito europeo alla sintesi e all’apertura. Non un astratto idealismo ma un affronto coraggioso del complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” concretamente l’idea di Europa: un’Europa non sterile ma madre «che sia capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare». Un processo nel quale «è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”», fare memoria, non solo per non commettere gli errori passati, e sono di riferimento i padri fondatori dell’Europa. Francesco ha citato Schuman, Adenauer, De Gasperi che seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Che ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea unità di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione cercando soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni. E con loro la necessità di «ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il Secondo Conflitto mondiale, perché – come affermava Schuman – “la pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza sforzi creatori che siano all’altezza dei pericoli che la minacciano”». Per Francesco i progetti dei padri fondatori, profeti dell’avvenire, «non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri». È il lavoro fondamentale e non rinviabile. Come quello di praticare la cultura del dialogo e dell’incontro che «dovrebbe essere inserita in tutti i curricula scolastici», per «inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando ». Perché oggi per difendere la pace «urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose». Francesco ha quindi insistito su «una reale partecipazione» di tutti nel cambiamento. In particolare sul protagonismo dei giovani e sulla questione della mancanza di lavoro. Servono «nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale», ha spiegato citando «l’economia sociale di mercato». L’insegnamento di papa Bergoglio «ci dà motivi di speranza», «c’è molto da imparare », ha riconosciuto il presidente dell’Europarlamento Schulz. E l’appello a essere «all’altezza delle proprie responsabilità » di fronte alle grandi questioni, senza mai «chiudersi nel proprio bozzolo» è venuto anche dal presidente della Commissione europea Juncker. Un lungo consenso di plauso ha fatto seguito al discorso di Francesco dopo che ha sollecitato «come figlio l’Europa a ritrovare se stessa», ad attingere dalla propria memoria, dalle più profonde riserve culturali, ad essere «culla e sorgente» e come un figlio che vuole ritrovare «nella madre Europa le sue radici di vita e di fede» ha espresso il suo sogno: «Sogno un’Europa in cui essere migrante non sia delitto ma un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA