L'arcivescovo Fisichella con il Papa (Ansa)
Dopo il Giubileo, «24 ore per il Signore » non lascia, anzi in un certo senso «raddoppia». Quest’anno, infatti, l’iniziativa quaresimale che mette a disposizione dei fedeli la presenza no stop dei confessori lungo l’arco di una intera giornata, si svolgerà in due tempi. A partire dalla serata di venerdì 24 marzo e fino alla fine di sabato 25 per tutti. Mentre il Papa anticiperà al 17 marzo la celebrazione penitenziale in San Pietro, dato che il 25 sarà in visita pastorale a Milano. Ad annunciarlo è l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che organizza fin dal primo anno le «24 ore».
Monsignor Fisichella, dopo quattro anni che bilancio possiamo fare?
Le «24 ore per il Signore» sono ormai una tradizione instauratasi in tutta la Chiesa. Molti vescovi che vengono in visita ad limina mi dicono: «Confessiamo davvero per 24 ore». Quest’anno, poi, c’è una significativa coincidenza con la solennità dell’Annunciazione, che è l’atto di affidamento totale di Maria alla Parola di Dio. E pensare alla riconciliazione di ognuno di noi come un’esperienza di abbandono alla misericordia di Dio, credo che possa trovare in Maria la sua icona più bella e significativa.
Questa è la prima edizione dopo il Giubileo. Che cosa ha aggiunto l’Anno Santo alle «24 ore»?
Ha aggiunto la grande esperienza di riconciliazione vissuta nella Chiesa. Per tutto l’Anno giubilare i più occupati sono stati i confessori. Con grande spirito di dedizione. Il nostro popolo ha riscoperto realmente che la confessione non è un elenco di peccati, o (per usare un’espressione del Papa) una “sala di tortura”, ma l’incontro con l’amore, la bontà e la misericordia di Dio. Penso al grande impegno dei “missionari della misericordia”, che papa Francesco ha voluto continuassero la loro opera anche dopo il Giubileo. Quindi questa «24 ore» è anche un invito a loro ad essere presenti, e ai vescovi e ai parroci affinché li chiamino per essere il segno tangibile dell’amore misericordioso di Dio, che passa attraverso la Chiesa ed è espresso nel mandato conferito da papa Francesco a questi sacerdoti perché perdonino quelle colpe riservate a lui.
Dopo il Giubileo il Papa ha anche voluto rendere permanente la possibilità per tutti i sacerdoti di rimettere il peccato di aborto. A distanza di qualche mese si comincia a comprendere il vero significato di questa decisione?
Ritengo di sì. Papa Francesco ha voluto ribadire che la misericordia di Dio non conosce confini. Ma il peccato non viene banalizzato perché a tutti i sacerdoti è data la possibilità di perdonarlo. Si sottolinea invece che al peccatore veramente pentito, anche quando si tratta di un peccato così grave come l’aborto, non deve essere posto nessun ostacolo nella sua volontà di riconciliarsi con Dio e con la Chiesa.
Il Papa nella “Misericodia et misera” sottolinea sia la dimensione personale che quella sociale della misericordia. Come entrano queste due dimensioni nelle «24 ore»?
Il Sacramento della Riconciliazione non è soltanto un’esperienza personale, come è testimoniato dal fatto che fin dall’inizio, nella storia della Chiesa, il pe- nitente veniva sempre accompagnato dalla preghiera della Chiesa e dall’intera comunità. L’attenuarsi di questa dimensione comunitaria è oggi una delle cause della crisi del sacramento. Se rinchiudiamo il rapporto con Dio in un individualismo asfissiante, viene meno anche il senso del peccato. Se invece si vive una vita di comunità, allora il sacramento ti aiuta a riscoprire anche quelle dimensioni umane che sono fondamentali, come ad esempio la responsabilità sociale, la vita culturale e politica. Non dovremmo mai dimenticarlo. E anche da questo punto di l’Anno Santo è stato una grande scuola, perché ci ha guidato a sperimentare la misericordia divina non solo in senso personale, ma anche in una dimensione comunitaria.
Le comunità come si possono preparare alle «24 ore»?
Abbiamo messo a disposizione delle chiese un sussidio che ha come titolo “Misericordia io voglio”, tradotto in varie lingue e distribuito in tutto il mondo. Vi si spiega il valore della penitenza, della riconciliazione, si risponde agli interrogativi più usuali, si presentano esempi di conversione dei nostri giorni, oltre a materiali per la lectio di- vina che possono aiutare nello svolgimento della celebrazione liturgica.
Le è capitato in questi anni di venire a conoscenza di una o più conversioni maturate nell’ambito delle «24 ore»?
Sono reduce dal Brasile dove in una comunità di giovani ex tossicodipendenti del movimento Shalom ho conosciuto un ragazzo di 22 anni, già cocainomane ad alto livello. Mi ha detto: «Confessandomi durante le “24 ore” ho visto la mia vita come quella di una pecora nera. Il Signore mi ha trasformato il cuore». E adesso è un’altra persona, uno stimolo al rinnovamento per tutti gli altri.
Lei è responsabile del dicastero per la nuova evangelizzazione. «24 ore per il Signore» è uno strumento in tale senso?
Durante il Sinodo del 2012 qualche Padre disse che la Confessione, “sorella” del Battesimo, doveva essere «il Sacramento della nuova evangelizzazione». Credo che questo sia giusto, perché la nuova evangelizzazione significa far riscoprire agli uomini del nostro tempo l’incoerenza del vivere ognuno per sé e presentare invece la strada di un’esperienza di amore e di misericordia senza la quale la vita avrebbe poco senso.