Ha fatto giustamente discutere, e non smette di farlo alla vigilia della sua visita in Italia, l’intervista che Vladimir Putin ha rilasciato la scorsa settimana al “Financial Times”. La frase che più ha colpito, nel lungo colloquio con Lionel Barber e Henry Foy, è quella relativa al fatto che «l’idea liberale è diventata obsoleta». Che cosa significa esattamente? Il presidente russo non lo spiega con precisione, ma si può dedurre dal contesto che si tratta di qualcosa che ha più a che fare con i diritti e il funzionamento del sistema politico che con le regole dell’economia di mercato, la quale in Russia è stata sposata fino ai suoi eccessi di deregulation nel settore privato dopo la caduta del comunismo (ovvero gran parte del periodo in cui Putin è stato al potere). Infatti, la connessione più stretta che il presidente pone è quella tra presunta crisi del liberalismo e il problema dell’immigrazione, che avrebbe raggiunto il suo “punto critico”. Ecco l’esempio portato dal leader del Cremlino: «I migranti possono uccidere, saccheggiare e stuprare impunemente perché i loro diritti devono essere tutelati». Con il Muro al confine messicano «Trump sta cercando una soluzione» («anche se forse esagera»). In questo senso, prosegue l’argomento, «le élite al potere si sono allontanate dal popolo» sostenendo il multiculturalismo, che non sarebbe efficace, mentre «vanno presi in considerazione gli interessi della popolazione locale». Qui entrano in gioco i «valori tradizionali e familiari», da difendere contro gli eccessi della cultura Lgbt. Da Mosca “ Terza Roma”, con un pedigree imperiale («Pietro il Grande è il leader che ammiro di più. È morto? No, è viva la sua causa »), potenza e spregiudicatezza, Vladimir Putin può rappresentare il faro di populismi-sovranismi impauriti dalla «società aperta» e alla ricerca di nuovo modello che rassicuri chi si trova esposto alle ventate della globalizzazione. Nell’intervista non è citato il ruolo della religione, ma il presidente russo si è frequentemente espresso a favore della Chiesa ortodossa, dalla sua importanza e della necessità di difendere i cristiani. Tralasciando la reale soddisfazione della popolazione russa per l’attuale governo, il carattere repressivo del sistema (chi si ricorda delle oscure uccisioni della giornalista Anna Politkovskaja e del politico Boris Nemtsov?) e la sua attitudine espansionistica (chi si ricorda dell’illegittima annessione della Crimea?), resta l’interrogativo su un leader che considera superato il liberalismo.
Eloquente quanto afferma nell’intervista: «I sostenitori dell’idea liberale non stanno facendo nulla. Dicono che tutto va bene. L’idea liberale presuppone che non vi sia bisogno di fare nulla». Se si interpretano bene le parole, in un certo senso ciò è vero. L’idea liberale presuppone che nessuno sappia davvero tutto, sia nel senso della conoscenza sia nel senso delle azioni da intraprendere. La società emerge dalle interazioni tra individui liberi, con alcune regole. E, certo, la politica, intesa come i rappresentati eletti e delegati a decidere, può e deve intervenire. Ma non per guidare ogni cosa dall’alto grazie al fatto che sa, a differenza del popolo, quali siano i migliori interessi di tutti. Questa è l’idea leninista del partito, che giustifica anche violazioni e violenze in nome di un ideale o di uno scopo più alto da raggiungere, che solo i leader hanno ben presente per la felicità generale. L’ideale marxista è evaporato (questo per davvero), ma sembra rimanere l’approccio “totalitario”, anche se ammantato di alcuni richiami che possono apparire (e forse sono) seducenti in questo tempo complesso da decifrare.
La ricetta di Putin è semplice, mescola elementi diversi, ma – va detto – risulta regressiva e pericolosa. E non è detto che stia conquistando consensi. La Russia rimane un grande e importante Paese ed è auspicabile che sia un partner globale per lo sviluppo e per la pace. Non pare, invece, per niente consigliabile che il modello politico anti-liberale che oggi il Cremlino propaganda faccia proseliti in Europa (e in Italia).