venerdì 6 agosto 2010
Vivono lontani dal mondo ma anche in città, dediti al silenzio e alla penitenza. Alle spalle spesso hanno un’esistenza «normale». Dal Nord al Sud del Paese la fotografia dei solitari a vita. Per incontrare Dio.
- L’Italia dei consacrati alla solitudine
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel silenzio dell’eremo vi è la cassa di risonanza di quanto avviene nel frastuono del mondo. Frédéric Vermorel ha trovato il suo «deserto» in Calabria, nell’eremo di Sant’Ilarione, in territorio di Caulonia, dove sabato scorso ha emesso i voti monastici in qualità di eremita diocesano nelle mani del vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini. È il secondo eremita presente nella diocesi locrese, dopo don Ernesto Monteleone, che vive a San Nicodemo di Mammola.Frédéric, 52 anni, proviene dalla Francia ed è arrivato in Calabria 31 anni fa: «Quel primo incontro col Sud ha letteralmente sconvolto il giovane borghese francese che ero – dice –. E quello sconvolgimento ha aperto un varco nella mia anima. Varco nel quale ha potuto penetrare la grazia di Dio». Perché la scelta della vita eremitica? «La mia non è stata una scelta. Semmai un prendere atto. Mi spiego: quando nel dicembre del 2002 incontrai padre Giancarlo Maria Bregantini (allora vescovo di Locri-Gerace, ndr) non parlai di vita eremitica, ma di vita monastica fatta di preghiera, lavoro e accoglienza. Volevo solo riprendere lo stile di vita vissuto per dodici anni presso la fraternità monastica di Santa Maria delle Grazie a Rossano Calabro. Certo, ero ben cosciente del fatto che ero da solo. E poi non mi concepivo come eremita. Fu soltanto col tempo che mi sono scoperto chiamato al deserto. Così mi sono dovuto arrendere all’evidenza: un monaco che vive da solo, si chiama eremita! Ma Dio solo chiama e la sua chiamata non è né potrà mai essere mia». Adesso la situazione è cambiata. «Oggi percepisco quanto questa chiamata corrisponda al mio essere profondo. La mia vita è un alternarsi di solitudine (circa i due terzi dell’anno) e di accoglienza (l’altro terzo). Sento che non potrei farcela se vivessi solo uno di questi due aspetti. La solitudine mi consente di accogliere. L’accoglienza nutre la mia preghiera solitaria. Il deserto (l’eremos) costituisce una prodigiosa e terribile cassa di risonanza di quanto avviene nel mondo. Sia ben chiaro, come tutte le vocazioni cristiane, quella eremitica procede soltanto dalla carità di Dio. Nel caso contrario, non si tratta di vocazione, né tanto meno di vocazione cristiana».Cosa può dare alla Chiesa di oggi l’eremita? «La vocazione monastica (e a maggior ragione quella eremitica) è dell’ordine del sovrappiù, del gratuito, dell’inutile, nel senso di non riducibile all’utile. Ed è proprio perché appartiene a questo ordine della grazia che paradossalmente sta nel cuore della Chiesa. Si capisce perché non è possibile dire cosa può dare l’eremita alla Chiesa. Certo, si potranno sempre elencare i nomi delle persone accolte, il lavoro svolto, la cultura alimentata, ma l’essenziale non sta qui. L’essenziale non è dell’ordine della quantità».E di lavoro ne ha fatto tanto Frédéric, per rimettere a posto l’eremo che era stato lasciato nel 1952 dall’ultimo degli «eremiti di Sant’Ilarione». In sette anni di sua permanenza è riuscito a renderne abitabile una parte, dove trascorre le sue giornate accompagnate dal silenzio rotto dal rumore del ruscello che vi scorre accanto.Contemplando le bellezze del luogo, Frédéric ci lascia con un atto d’amore verso la Calabria. «Come si può vivere così male in una terra così bella? Com’è possibile che un popolo così accogliente non sappia accogliere se stesso? Com’è che i figli dei costruttori di Gerace, Stilo o Rossano abbiano potuto abbruttire e imbarbarire in tal modo le loro città? Com’è possibile che questo popolo così generoso abbia partorito figli che vanno a popolare le carceri? Tra i trecento arresti degli ultimi giorni, una decina sono originari della frazione dove vivo: sono figli, fratelli, amici nostri. Qui si tocca forse il cuore della vita eremitica: nel farsi carico di tanto dolore e di tanto male».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: